Il mito di Orfeo ed Euridice torna in tutta la sua drammatica attualità nelle vite dei profughi che cercano invano di attraversare le frontiere est europee. Narra la storia che il cantore della Tracia, capace di affascinare con la sua musica non solo gli umani ma di incantare financo le piante e gli animali, chiedesse ad Ade, l’onnipotente fratello di Zeus, signore degli Inferi, di concedergli la grazia di portare sua moglie Euridice fuori dalla notte eterna. Il suono della sua cetra bistonica, con la quale aveva annullato anche il canto delle Sirene durante l’avventura degli Argonauti, convinse il Principe degli Inferi che, però, pose una semplice condizione: Orfeo non doveva voltarsi a guardare Euridice prima che la sua risalita fosse compiuta. Sappiamo come va a finire questa vicenda: Orfeo si voltò e la sua amata dovette tornare per sempre nell’Erebo. Perché Orfeo si è voltato, condannando Euridice? Forse perché, ci dicono gli antichi, aveva ad un certo punto acquisito la drammatica consapevolezza che avrebbe resuscitato una donna morta, che sempre gli avrebbe ricordato la notte eterna dalla quale era uscita e questo ad Orfeo, cantore della vita, era insopportabile. Oppure, ma il senso non cambia, la sua era solo una ennesima sfida: anche la Morte si sarebbe piegata al suo canto; vinta la contesa di Euridice non gli importava più nulla. Oggi, in queste ore, oramai da alcune settimane, noi siamo Orfeo che però, non solo una volta ma decine e decine di volte e non solo con Euridice ma con migliaia di uomini, donne, bambini, vecchi, ripetono il mito della ricacciata all’inferno di chi ne voleva uscire. Cos’è infatti questo far scendere dagli autobus che prima caricano i profughi e poi li fanno scendere stracciandone i documenti, com’è successo ai confini tra Serbia e Bulgaria, per ricacciandoli nell’inferno dal quale volevano uscire? La strumentalizzazione colpevole, da tutte le parti nessuna esclusa, di questi corpi fantasmatici come le città da cui provengono, è la cifra più esatta dell’ipocrisia sulla quale costruiamo le nostre festività. E dunque, per rimanere nel mito, che come tutti i miti insegna ciò che mai è stato ma che sempre sarà, come diceva Pavese, andiamo a vedere la fine di Orfeo. Egli viene ucciso dalle Menadi forse perché offende Dioniso, cioè il principio della vita indistruttibile che nasce muore e rinasce in continuazione, non volendo celebrare questo ineludibile passaggio, volendo rimanere “for ever young”. E non è esattamente questo che vogliamo noi? Non è l’immortalità che cerca l’Occidente? E non è forse la merce che ci sussurra di perseguire questo scopo disumano? E allora come meravigliarsi che la nostra morte fisica, come quella di Orfeo che si rifiuta di cantare la vita nel suo eterno divenire, sia la stessa del cantore tracio?: fatti a pezzi da un Tir mentre compriamo i regali di una festa che di “natività” non ha più nulla?. Tutto torna, come Euridice, a ricordarci il debito che abbiamo nei confronti di chi vogliamo ricacciare all’inferno perché non ci ricordi che siamo stai noi a metterceli. Facciamocene una ragione e agiamo senza ipocrisia per salvare dunque non solo quelle vite “lontane” ma la nostra stessa vita.