Recensione di Benedetto Vecchi su L’altalena, Il Manifesto 7-1-2016

Il sentiero che dal mito approda al pensiero radicale è costellato di trabocchetti e insidie. Ne hanno scritto in molti della possibilità di perdersi o di perire nelle contraddizioni. Alcuni nomi, per sgomberare il campo da possibili equivoci, di teorici radicali che ne hanno fatto un nodo inaggirabile della loro produzione: Ernst Bloch, Walter Benjamin. Più recentemente Furio Jesi o in forma diversa Giorgio Agamben. Tutti accomunati dalla convinzione che il mito, oltre a dare una rappresentazione pietrificata e immodificabile dei rapporti sociali, ha il suo lato in luce, cioè aperto al cambiamento e alla sovversione. Se poi ad esso si associa il gioco — attività infantile, con proiezioni in età adulta quando diviene attività economica, avviene un vero e proprio cortocircuito.

Ed è dalla constatazione di tale cortocircuito che parte il provocatorio saggio di Raffaele K. Salinari L’altalena (Punto Rosso), che prova appunto ad affrontare non la paralisi bensì il movimento non addomesticabile della prassi teorica quando il mito (in questo caso Dionisio) incontra il gioco e il pensiero radicale.

I lettori di questo giornale conoscono Salinari per i suoi contributi attorno ai rapporti tra nord e sud del mondo, tesi a svelare la volontà di potenza del capitalismo sull’intero pianeta. La lettura di questo libro svela invece una passione altrettanto forte nell’individuare uno stile di vita che punti a cambiare l’esistenza «qui ed ora» senza attendere nessun messianico sole dell’avvenire. Il mito è dunque fratello gemello, nella riflessione di Salinari, del virtuale declinato come una realtà trasformata già presente nella realtà data. E non è un caso che sia proprio Dioniso a tenere banco. il dio greco dell’estasi e della liberazione dei sensi. Per Salinari, tuttavia, Dioniso non coincide mai con la rappresentazione dominante della figura che distrugge o si fa beffa delle regole o della Grande Dea (la terra). Il dio greco è invece figura che costruisce nuove regole, dove non c’è spazio per l’oppressione. Ed è dunque il gioco l’arena dove le regole prendono forma, consentendo ai partecipanti di poter esprimere al meglio le propria personalità. Il gioco è d’altronde competizione, ma gioiosa, mai plumbea. Non è quindi un caso che la figura scelta è quella dell’altalena. Ogni bambino o bambina che fa l’esperienza dell’altalena chiede espressamente — con il linguaggio del corpo — dell’intervento esterno. La spinta per far continuare il movimento ondulatorio è necessaria, ma una volta che il corpo apprende le regole, pretende di essere libero di variare il movimento, di spingersi in alto, assaporando l’ebbrezza della libertà dalla necessità.

Al di là dei riferimenti alla mitologia greca, ma anche di altre culture, il libro di Salinari è una riflessione sulle possibilità di cambiamento della realtà che sono sempre presenti anche quando tutto attesta il contrario. Il gioco, quindi, come esperienza indispensabile per pensare la rivoluzione. Non quindi prerogativa dei bambini — questo lo aveva già analizzato Benjamin — ma anche degli adulti. Salinari invita a ricordare, a scavare nei ricordi, per assaporare nuovamente la felicità che il gioco dà.

Il gioco, in questo caso, non ha nulla a che fare con la sua industrializzazione, ma con quella predisposizione alla relazione con l’altro. Una massima che molti vorrebbero archiviare affermava che sono con gli altri, il singolo può dare il meglio di se stesso. L’altalena è il mezzo di questa esperienza: si è liberi solo quando si è con gli altri. In questo campo c’è dunque spazio per la sensualità del vivere in comune. In questo spazio c’è la possibilità di poter cambiare il mondo. Con buona pace di chi vede nella sensualità una distrazione dalle cose importanti della vita.

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