Questa non è una vera e propria recensione del libro di Raffaele K. Salinari, perché la recensione in realtà necessiterebbe un lungo articolo, considerato che il libro è davvero ricco di spunti di riflessione. Ciò su cui vorrei concentrarmi è l’altalena e il suo rapporto con la Dea Madre che, in fondo, cerca – a mio avviso – di ripristinare il nostro rapporto con la Dea Madre-Natura.
Non si può leggere “L’altalena” di Raffaele K. Salinari senza sentire l’estasi della vertigine o del salto, poiché leggerlo è come fare un tuffo dall’alto della nostra modernità fino al fondo del nostro passato. Gli argomenti che tratta il libro sono dei piccoli lumi che illuminano gli angoli oscuri della nostra vita, ci inducono a capire che i semplici giochi di bambini, ma anche certi sport pericolosi, hanno come origine un culto universale praticato dai nostri antenati. Connette il presente a un passato remoto e lontano, per farci comprendere che il divino ci circonda anche se noi non lo sappiamo, che la Grande Dea, la Dea Madre, è presente tra noi, che tutti abbiamo praticato il culto per Lei, pur senza saperlo.
Infatti, non avrei mai pensato che il gioco della nostra infanzia, l’altalena, fosse il sacro dell’infanzia dell’umanità. Questo da una parte mi rallegra, dall’altra mi rattrista. Mi rallegra perché scopro, grazie all’autore, che un giorno, nella mia lontana infanzia, ero connesso in un modo o nell’altro con la Grande Dea, che chiamerei tranquillamente Madre Natura. Rendersi conto di questo fatto è molto importante, perché è lì che ci sono le fondamenta della nostra vita, e ci basiamo fino alla fine dei nostri giorni su quelle fondamenta. E mi rattrista perché mi rendo conto di quanto ci siamo allontanati dalla nostra infanzia innocente, proprio come l’umanità si è allontanata dalla sua infanzia innocente.
Quando ho letto il libro non ho potuto fare a meno di riscoprire la mia infanzia, o parte di essa, quella legata al gioco dell’altalena. I giorni più felici della mia infanzia sono quelli delle due feste più grandi del mondo musulmano: la Festa del Sacrificio (Id al-adha) che avviene dopo il pellegrinaggio alla Mecca, e la Festa della Rottura del Digiuno (Id al-fiṭr), che avviene dopo il mese di Ramadan, e durano rispettivamente quattro e tre giorni. In una piazza non asfaltata davanti a casa mia si svolgevano queste due feste, ora però non più, dopo che la piazza è diventata una villa, una massa di mattoni e cemento. La piazza era piena di vari tipi di palme, alte anche più di dodici metri. Uscivo la mattina presto, non avevo la pazienza di aspettare, e trovavo due o tre fanciulle, sorelle peraltro, che annodavano le corde intorno a due palme che stavano una di fronte all’altra, come una lettera V, per fare un’altalena. Qualcuno saliva sulle palme e legava un’estremità delle corde ad altezza di sei sette metri, e dal basso le ragazze legavano l’altra estremità intorno a un tronchetto di palma di due metri di lunghezza, che dondolava in orizzontale ad altezza di quasi un metro dalla terra.
Nel libro di Raffaele Salinari si parla anche della festa Anthestéria, una festa che durava tre giorni, e nel giorno delle brocche «le giovani andavano in altalena, in onore di Erigone, anche ai bambini era consentito dondolarsi, perché quel giorno essi imitavano tutto quanto accadeva pubblicamente nella grande festa». Anche nella nostra festa, su quel tronchetto, salivano sull’altalena bambini e adolescenti per dondolarsi avanti e indietro. Ci sentivamo fuori dal tempo e dallo spazio, in una dimensione che non appartiene a nulla; questa è la “Ilinx” tramite il quale si immerge con la zōḗ (Vita senza caratterizzazione o limiti). Certo che il dondolio non è privo di pericoli, poiché l’altalena faceva avanti e indietro ad altezza di cinque e sei metri, finché le palme cominciavano a scuotersi, come se ballassero, e chi casca rischia di certo la vita. La cosa più notevole in tutto ciò è il dondolio degli adolescenti che, correndo questo pericolo/rischio, volevano farsi notare dalle ragazze, o in modo particolare dai loro amati. E quindi notiamo che eros e morte si confondono per significare il principio della vita, o il culto – ora ignorato – per la Grande Dea, la Dea Madre. E come dice Salinari «l’erotismo del dondolio arriva a noi dalla trasformazione di un gioco – l’altalena – che antichi miti descrivono come simbolo della morte; per questo il nesso tra morte ed erotismo sfugge a chiunque non veda il nesso religioso». L’altra coincidenza strana nell’altalena della mia infanzia è che erano proprio le fanciulle a gestire quella altalena. Ecco dunque, per ritornare al sottotitolo del libro, che il gioco della nostra infanzia si rivela come il sacro dell’infanzia dell’umanità.
Parlare di divinità femminili non è affatto difficile, visto che nella Grecia antica tali divinità non mancano. Ma parlare della Grande Dea, la Dea Madre, richiede uno sforzo maggiore, poiché il pensiero maschile vinse un giorno quello femminile e diffuse il suo dominio per fare sì che gli Dei fossero principalmente maschi. Tuttavia abbiamo elementi frammentati che ci guidano verso l’esistenza, un tempo, di una Grande Dea, probabilmente identificabile con la Madre Terra, o semplicemente la Natura. Il nome di questa Dea è Potnia, identificata soprattutto in Creta nell’età del bronzo. Il significato di Potnia sarebbe “Signora” o “Padrona” che può essere compreso facilmente come “Dea Madre”. Con l’arrivo del potere maschile in Grecia – tra l’altro potere deriva proprio da Potnia – la Dea Madre è stata soppressa, anche se non eliminata del tutto. Infatti, la ritroviamo nelle Dee femminili, frammenti rimanenti, eredità frantumate di una concezione teologica precedente e preesistente. Carlo Flamigni, nella sua ricca prefazione al libro di Salinari, “L’altalena”, ci fornisce un’ampia descrizione delle Dee arcaiche nelle diverse culture del Mediterraneo e anche oltre, come nella cultura Greca, nella cultura mesopotamica, assiro-babilonese, e nella cultura egizia.
Nell’infanzia dell’umanità, dunque, l’altalena era un rito sacro, consacrato alla Dea Madre. Per spiegarci ciò Salinari ci guida e ci porta tra i miti che hanno messo le radici a tale rito. Il primo mito nella Greca antica è quello dell’ateniese Erigone. Dioniso insegnò a Icario, il padre di Erigone, la coltivazione della vite e gli consegnò delle otri di vino, Icaro distribuì il regalo ai concittadini, e questi, una volta ubriacati, pensarono d’essere avvelenati, così uccisero Icario. Una volta che la figlia, Erigone, scoprì il fatto si impiccò all’albero sotto cui era la salma del genitore. Le vergini ateniesi allora, nella ricorrenza del suo gesto, si sarebbero impiccate fino a quando gli assassini non sarebbero stati individuati. Per risolvere tale questione l’oracolo delfico consigliò di inventare un gioco di dondolio per simulare l’impiccagione, così nacque il rito dell’altalena.
Tuttavia Salinari ci riporta ancora indietro nel tempo; quando, appunto, la Dea Madre aveva ancora il totale potere sul creato. Una di queste testimonianze si trova sulle taurocatapsia minoica, dove si vede il salto tra le corna del toro che simboleggia l’oscillazione della Dea in altalena. Un simile dondolio si verifica anche nella città mesopotamica Mari, al confine tra l’Iraq e la Siria, dove è stata ritrovata una statuetta risalente alla stessa epoca minoica, in cui appare una Dea sospesa nel dondolio. È per quella Dea, sostiene Salinari, che ci si inebriava, ci si accoppiava, se ne cercava la visione balzando in altalena, e altre movenze del corpo erano gesti sacri e visionari a Lei dedicati. Tra cui le danze, le acrobazie e i dondolamenti sui rami. Il dondolio nei miti – e anche l’impiccagione che ne è un simbolo – avveniva spesso su un albero; che sarebbe l’albero sacro che rappresenta la Dea. Quella Dea “governava il nostro mondo” nei tempi antichi «rappresenta il culto universale della vita, che includeva la luna e il sole come manifestazione della sua sfera d’influenza». Tali gesti sacri, che oggi sono semplici giochi, erano il mezzo della congiunzione con la Dea Madre, quel legame che oggi è perduto o consumato dalla modernità. Quindi «i miti della Dea sono le antiche testimonianza dell’unità del vivente: questo era il messaggio del divino nel quotidiano». In quest’ottica appare evidente come il «gioco come l’altalena può simboleggiare meglio la visione di un corpo e di un’anima uniti nel generare questa combinazione di quiete e movimento che riflette, sul piano del microcosmo umano, l’Intelligenza stessa che ordina ed abbraccia il Cosmo». E infatti è a un simile risultato che giunse il filosofo egizio Plotino – citato da Salinari, – quando si è chiesto del perché il movimento del mondo è circolare. Secondo il filosofo «È un movimento della coscienza, della riflessione, e della vita che ritorna su se stessa, che non esce mai da sé e non passa ad altro, appunto perché deve abbracciare tutto in sé. Ma non l’abbraccerebbe se rimanesse immobile, né avendo un corpo, manterrebbe in vita le cose che contiene: infatti la vita del corpo è movimento. Sicché il movimento circolare risulta composto del movimento del corpo e di quello dell’anima, e siccome il corpo si muove per natura in linea retta, e l’anima lo trattiene, dai due deriva quel movimento che ha del movimento e della quiete». Quel semplice gioco, l’altalena, come anche la danza, le acrobazie e forse anche tutti gli sport pericolosi, avevano come origine una specie di riti sacri che congiungevano il singolo individuo con la Madre Dea, la Natura.
Salinari con le sue riflessioni, i suoi dialoghi con i filosofi, ci fa riflettere sul senso originale del gioco stesso, qualsiasi sorta di gioco. Quei giochi che per noi, bambini o adulti, sono una sorta di puro divertimento o passatempo, non erano tali per i nostri lontani antenati. Il gioco in generale ha una sua connotazione sacra nei miti, quelle storie che noi consideriamo tanto lontani, proprio come la nostra infanzia, ma che stanno alla base della nostra umanità attuale. I giochi, come “la vertigine e la maschera” ma anche i giochi d’azzardo, di travestimenti e altri ancora, hanno in comune con l’altalena quel transitare da una realtà a un’altra diversa dal quotidiano. I giochi, Salinari cita Caillois, «Si basano sulla ricerca della vertigine e consistono nel tentativo di distruggere per un attimo la stabilità della percezione e a far subire alla coscienza lucida una sorte di voluttuoso panico». (Caillonis, p. 40).
Quella sensazione di vertigine, a noi molto comunque pur senza intendere cosa c’è dietro, che spesso andiamo a cercare, ballando, giocando o ubriacandoci, per non parlare della droga, ma anche i semplici giochetti che facciamo ai bambini prendendoli dalle braccia e facendoli girare in aria, è proprio il punto centrale di cui ci vuol parlare Salinari nel suo libro. L’autore ci svela il segreto dietro a questi semplici gesti quotidiani, per dirci che noi ci connettiamo ogni volta, e spesso, con il divino, pur senza saperlo. A un divino non identificato, o potremmo semplicemente definirlo la Madre Natura. Poi ci illumina su come stiamo distruggendo questo legame nel normalizzare i giochi, soprattutto nei Luna Park, che ormai hanno invaso il nostro quotidiano.
Tuttavia dopo la Grande Dea c’era una divinità, pur maschile, che era l’erede della Dea Madre; questa divinità è Dioniso. Ma perché Salinari sceglie proprio Dioniso? Dioniso è il dio dell’estasi e della liberazione dei sensi, è il Dio che viene ucciso dai Titani per poi essere ricomposto e rinasce per simboleggiare la vita indistruttibile che, a sua volta, simboleggia la Grande Dea, di cui Dioniso è l’emanazione. Successivamente venne identificato in speciale modo come Dio del vino, dell’estasi e della liberazione dei sensi, quindi venne a rappresentare l’essenza del creato nel suo perenne e selvaggio fluire, lo spirito divino di una realtà smisurata, l’elemento primigenio del cosmo, l’irruzione spirituale della zoé greca, ossia l’esistenza intesa in senso assoluto, il frenetico flusso di vita che tutto pervade (Otto, Dioniso. Mito e culto). Dioniso eredita le qualità che erano quelle della Dea Madre, per questo Salinari lo sceglie, a ragione, come la continuità di essa. Tramite Dioniso, dio del vino e delle estasi, noi oltrepassiamo la soglia della vita quotidiana per congiungerci con un’altra realtà, al di fuori del tempo e dello spazio, che può essere identificata, appunto, con la zoé.
Ecco, io ti invito, caro lettore, a cogliere l’invito di Salinari, e di ripensare alla tua infanzia, e anche a quella dell’umanità, di ripensare al divino, non quello rappresentato dalle religioni, ma un divino vago, un divino con cui quasi ogni giorno ti congiungi senza renderti conto. Incito anzitutto me stesso e te, caro lettore, e renderci conto di quella realtà che ci circonda e riconsiderarla; la Grande Dea, la Dea Madre, o, come mi piacerebbe chiamarla, la Madre Natura. È uno spirito immenso che ci accoglie nel suo grembo, ci nutre e ci cresce, mentre noi lo ignoriamo e lo bistrattiamo. Credo che l’unico modo per salvarci e salvare il mondo è quello di cercare di salvare la Madre Natura.