Lo sguardo dell’uomo sul Mondo, diceva Walter Benjamin, riflette la forma dei rapporti di produzione, e i “rapporti di produzione”, elabora Foucault, sono oggi governati dalla biopolitica, cioè dalla riduzione della vita al suo valore di scambio, di merce. In questa situazione è facile capire l’impossibilità per le attuali politiche europee di vedere i fenomeni migratori nella loro dimensione umana, empatica, la sola che darebbe luogo a pratiche di accoglienza radicalmente diverse dalle attuali. Eccitati ed accecati dall’idea di perdere i privilegi accumulati in secoli di dominio sul resto del mondo “in via di sviluppo”, il confuso demos europeo, ciò che resta della piccola borghesia, ma anche il proletariato espulso dl ciclo produttivo o supersfruttato, si rivolge così alle destre populiste che promettono di fermare i migranti “sul bagnasciuga”, come nel secolo scorso già affermava il fascismo. Ma l’eccitazione superficiale, agitata e servita calda dai vari demagoghi continentali, nasconde nella sua profondità una altrettanto grande depressione, generata dall’oscura consapevolezza che ciò che oggi capita ai migranti, domani , ma forse già oggi, potrebbe accadere a chi ancora crede di cavarsela con i muri.
Perché se è vero che la Storia non insegna nulla, è altrettanto vero che l’anima non dimentica, che i traumi personali e collettivi vissuti dai singoli e da intere popolazioni, restano nel profondo e riemergono costantemente a ricordare ciò che si è vissuto. Ma per far si che questa memoria collettiva, fatta di quando l’Europa era un continente di migranti, di bombardati, di sottoposti a feroci dittature, di razzismi verso gli italiani o gli irlandesi, di guerre civili a sfondo religioso, ma anche di resistenza, di affermazione dei diritti umani, di abbattimenti di frontiere, di dialogo, di aiuto ai popoli che uscivano dal colonialismo, possa riemergere come forma della politica, e prima ancora della consapevolezza, bisogna tornare a vedere con gli occhi ciò che abbiamo sotto gli occhi, cambiare lo sguardo sulle cose. Non è forse l’occultamento dei corpi migranti uno dei dispositivi fondanti di questa fase biopolitica? Non è la riduzione dei singoli individui ed individue, di bambini e bambine con nomi, storie, vite, vissuti, diversi, nel grande calderone dei “migranti”, morti anche nella ridda dei numeri e delle statistiche? Ecco perché i gruppi, le associazioni, le Ong che si occupano di queste persone cercano in ogni modo di renderle visibili, di illuminare queste “ nude vite” per sottrarle alla dittatura della soppressione, farne dei protagonisti della loro stessa esistenza, e non solo delle pratiche di ordine pubblico.
Rovesciando la logica del respingimento, delle barriere, dell’esternalizzazione dei confini spinati, le associazioni che si impegnano nelle gestione dei migranti sulle banchine siciliane o greche, restituiscono come prima priorità a queste persone il loro volto, la loro identità unica ed irripetibile, non solo la speranza che il dolore vissuto sia servito a qualcosa per le loro esistenze, ma che serva anche a chi li accoglie pe r cambiare la sua prospettiva sull’ordine delle cose. Perché siamo noi, quelli pronti a gettare al vento secoli di democrazia e convivenza, ad aver bisogno della forza di queste vite almeno tanto quanto loro hanno bisogno di noi. La politica è prima di tutto uno sguardo. Dallo sguardo attento nasce il riguardo, il guardare due volte, e di conseguenza il rispetto che ha, non a caso, la stessa radice. Riaccendere lo sguardo sui migranti, farne la questione politica fondamentale per la re-visione degli assetti europei, della rinascita di un pensiero di sinistra che ha archiviato l’internazionalismo panafricano di Lumumba e Nkuma, la disobbedienza civile di Ghandi, il socialismo di Sankara, che si disinteressa, come fossero questioni marginali, delle politiche di cooperazione allo sviluppo. Il cambiamento parte da una cambio di paradigma per quello che concerne le priorità da affrontare, che non sono più quelle della contraddizione capitale lavoro, ma quelle tra uomo e ambiente e tra generi, genti e generazioni. Da come si riorganizzeranno le forze antagoniste attorno alle gestione e soprattutto alla soluzione delle emergenze migratorie, legate alle guerre, ai disastri ambientali, ma anche ad un modello di produzione internazionale che ha sempre più necessità di morti e destabilizzazione per lucrare sull’unico giacimento inesauribile, la paura da parte di una minoranza sempre più esigua perdere ciò che di materiale ha acquisito, si misurerà la possibilità che esista un futuro per tutti e non la pura sopravvivenza di una parte minoritaria sulla maggioranza del vivente.