La morte di Patrice Lumumba, da Il Manifesto 27-1-2016

Nel gennaio di cinquantacinque anni fa, nel 1961, veniva assassinato Patrice Lumumba, il leader dell’Africa post coloniale che credeva in un «Congo unito all’interno di un’Africa unita». Il Belgio, l’allora potenza coloniale, aveva “ereditato” questo enorme paese di più di due milioni e mezzo di chilometri quadrati dalle mani insanguinate del suo storico proprietario, Re Leopoldo II, che lo aveva rivendicato come proprietà privata durante la Conferenza di Berlino del 1883 in cui gli europei si erano spartiti l’Africa. Il regno belga ne prevedeva l’indipendenza solo verso il duemila ed invece, spinto dall’onda lunga della decolonizzazione e dei movimenti di liberazione pan africani, anche il Congo si sollevò e, nel giugno del 1960, Re Baldovino dovette dichiararne l’indipendenza. Il giovane Lumumba, allora segretario generale del Movimento Nazionale Congolese di Liberazione vinse le prime elezioni libere e democratiche venendo di conseguenza nominato capo del Governo. La sua mossa politica fu quella far aderire la Repubblica del Congo al movimento dei «non allineati», sancendo così l’indisponibilità a far parte dell’equilibrio bipolare che la guerra fredda imponeva a tutti i nuovi stati. Il suo discorso sulla «decolonizzazione del simbolico», mediato da Frantz Fanon, resta uno dei caposaldi del panafricanismo del secolo scorso. Queste posizioni sarebbero già state sufficiente a determinare le manovre che l’Occidente avevano predisposto per innescare la terribile guerra civile che, puntualmente, dopo qualche mese dall’insediamento di Lumumba, portò alla secessione del Katanga, la regione mineraria a sud del paese, ed anche alla ribellione del Kiwu, quella al confine con Ruanda e Burundi. I ribelli katanghesi, sostenuti dai servizi segreti di USA e Belgio, dopo mesi di attacchi ferocissimi in tutto il Paese e nella capitale Kinshasa, sequestrarono Lumumba in fuga verso il sud e lo uccisero; si saprà solo qualche anno dopo che il suo cadavere venne prima smembrato e poi sciolto nell’acido. Ma la sua vicenda politica assume, prima del tragico epilogo, un respiro di livello internazionale: come capo di un Governo legittimo, infatti, Lumumba aveva chiamato in suo aiuto, primo leader nella storia africana, le Nazioni Unite, per cercare di risolvere il conflitto secondo le nuove regole internazionali post belliche. Nella guerra civile congolese interviene dunque personalmente l’allora Segretario delle ONU Dag Hammarskjold che capisce la posta in gioco: la crisi del Congo era il primo vero banco di prova per un sistema ONU che avesse voluto realmente esercitare il suo ruolo di “governo del mondo”. Proprio per questo, nel settembre 1961, l’aereo che lo portava in Congo per dirigere di persona la prima missione di pace delle Nazioni Unite nell’Africa post coloniale (una vera missione di pace) viene sabotato dalla CIA e precipita. Il Segretario muore, l’Onu si ritira, e così viene meno la possibilità che questo organismo multilaterale divenisse realmente ciò che doveva essere. Dopo qualche mese di drammatica guerra civile, a cui partecipa anche Che Guevara, ucciso Lumumba e di conseguenza passato il pericolo di un Congo non allineato o, peggio, nelle mani dei Sovietici, un tenete di nome Joseph Desiree Mobutu, già nominato capo dell’esercito da Lumumba, ma organizzatore del suo stesso assassinio su logistica belgo-americana, viene nominato capo dello Stato ed inaugura una dittatura cleptocratica e senza spazi democratici che morirà con lui dopo ben trent’anni dopo, lasciando il Paese in condizioni di estrema povertà e fragilità da tutti i punti di vista. Sin dai tempi di Lumumba, infatti, ed ancora prima di Leopoldo II e del suo “giardino personale”, questa terra doveva essere solo una “estensione geografica” a disposizione degli interessi occidentali, senza riguardo alcuno alle opinioni dei suoi legittimi abitanti. Ai tempi di Leopoldo II la “missione civilizzatrice” copriva il commercio dell’avorio, dell’oro e del legno pregiato, ne rende testimonianza il romanzo Cuore di tenebra di Conrad. Ai tempi della seconda guerra mondiale, invece, nel mirino dell’Occidente vi era qualcosa di ancora più importante (l’uranio delle bombe di Hiroscima e Nagasaki viene dal Katanga) e poi, durante la lunga dittatura di Mobutu, era essenziale continuare ad assicurare alle compagnie minerarie lo sfruttamento dello “scandalo geologico” che rappresentano le sue enormi quantità di rame e diamanti e, più di recente, il coltan. Perfino il successore di Mobutu, l’ex lumumbista Kabila, ripulito dagli americani dopo la morte del vecchio dittatore e sostenuto dai ruandesi del genocidario Paul Kagame, quando ha cercato di rivedere i contratti di sfruttamento minerario ispirandosi alla sua antica visione socialisteggiante, è stato assassinato dal suo stesso figlio adottivo, l’attuale presidente del Congo Kabila junior. Negli ultimi tempi, con la confusa gestione geopolitica della guerra civile permanente nell’est del paese, retaggio di quella prima guerra scatenata contro Lumumba dagli interessi Occidentali, si completa il quadro dell’asservimento di questa terra agli interessi delle “pompe aspiranti” occidentale, cinese, indiana, che continuano a prelevare dalle sue vene aperte il sangue che ci serve, mentre il Congo ed i congolesi letteralmente muoiono, o di fame, o di guerra o di AIDS. Le organizzazioni umanitarie calcolano che ci sono circa quattro milioni di rifugiati interni ed un milione di vittime della guerra civile. Se Foucault fosse vivo ne farebbe sicuramente un esempio della sua definizione di biopolitica e potere sovrano: “Non più esercitare la morte e concedere la vita ma sostenere la vita e lasciar morire”. Oggi, dunque, guardando in questa prospettiva l’assassinio di Lumumba, possiamo ben dire come esso sia solo un emblema, una Immagine paradigmatica che racchiude in sé tutte le altre, tutti gli altri assassinii che, quotidianamente vengono perpetuati sul corpo vivo di questa terra bella e terribile. Eppure, eppure, la forza della vita scorre ancora dentro il corpo martoriato del Congo, anche se il nostro sguardo spento non vede nell’Africa che morte e sfruttamento, lo sguardo fiero di Lumumba nella sua ultima immagine guarda ancora lontano, oltre il “cuore della tenebra”.

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