Le nuove odissee, da Il Manifesto 3-9-2015

Nel suo editoriale di sabato 29 Norma Rangeri invita ad una nuova resistenza contro l’assuefazione mediatica dalle morti dei migranti. Si tratta di una appello giusto ed accorato, al tempo stesso politicamente provocatorio poiché chiama in campo non solo il sistema dell’informazione ma lo spirito stesso col quale ci predisponiamo ad interpretare le notizie.

 

E allora vediamo di dare qualche elemento concretamente simbolico a questa rinnovata battaglia di civiltà, partendo proprio dal decadimento spirituale delle nostra epoca, tutta orientata alla quantità, in cui ciò che unisce, al di la di ogni determinazione superficiale, gli esseri umani, sembra scomparire all’ombra del particulare. Victor Hugo nel suo Notre Dame di Parigi descrive ad un certo punto la novità architettonica rappresentata dall’arte gotica.

 

Il grande romanziere sostiene, a ragion veduta, che l’innovazione stilistica che sorpassa il precedente stile romanico, nasce da quella grande epopea non solo cavalleresca ma anche popolare, che furono le crociate. Il gotico mette al centro dell’universo l’uomo stesso, non più dio, com’è nel romanico ma, sopra tutto, scardina l’ordine rappresentato in quelle costruzioni medioevali dalla gerarchia dio, clero, popolo. Ebbene, dice ancora Hugo, questo si deve alle influenze che vengono dall’arte orientale, dalla sua spiritualità ancora tumultuosa, effetto benefico che oltrepassa l’incontro/scontro tra gli eserciti crociati e quelli della mezzaluna. E dunque una delle grandi costruzioni delle cristianità, con i suoi simboli alchemici scolpiti nelle pietra, con le sue guglie lanciate verso lo Spirito, ci viene dall’incontro tra culture che, apparentemente, possono essere solo in atteggiamento oppositivo l’una dell’altra.

 

Ma, ecco l’arcano, la rinascita della spiritualità europea post medioevale, che diede vita allo stesso Rinascimento di stampo neoplatonico, lo si deve ad influenze che, sul piano della geopolitica, apparivano invece contrastanti. Oggi, a secoli di distanza, la situazione non sembra essere cambiata nelle relazioni tra Europa e mondo musulmano, in generale tra la cultura del continente tra i più ricchi del globo, e le terre che sino agli anni settanta del secolo scorso furono le sue colonie. Oggi il tema emergente, ma non emergenziale come si vorrebbe far credere all’opinione pubblica, è decisamente quello delle migrazioni da queste stesse zone.

 

E allora, ieri come oggi, se andiamo oltre le ragioni immediate e contingenti, peraltro tanto terribili quanto ancora poco considerate nelle loro implicazioni politiche, ci troviamo di fronte a delle motivazioni che riprendono in pieno quel fecondo incontro che caratterizzò l’epoca delle rinascita dello spirito europeo dopo gli oscurantismi medioevali. Se, infatti, si chiede a questi ragazzi e ragazze che sostano presso i centri cosiddetti di accoglienza, non cosa li ha spinti ad intraprendere un viaggio potenzialmente mortale, cioè le guerre, la fame, le devastazioni ambientali, la mancanza dei più elementari diritti umani, ma il come hanno potuto sopportare le torture, le umiliazioni, gli stupri, la solitudine, l’angoscia di vedere morire amici e partenti in viaggi che l’Odissea a confronto è una tour dei Club Mediterranee, ebbene torna prepotente l’immagine del sogno e della sua forza spirituale, della volontà di testimoniare con il proprio corpo la potenza di una vita che, nonostante tutto, vuole e deve affermarsi ad ogni costo, oltre ogni costo.

 

E allora, di fronte ad una Europa smembrata dalle ineguaglianze, dai rigurgiti xenofobi e dal calcolo ragionieristico delle parità di bilancio, frantumata dalle spinte centrifughe dei rinascenti nazionalismi ma, forse e soprattutto, oramai spenta nell’ombra di un ideale comunitario che si è consumato al fuoco dell’economia liberista, queste testimonianze, queste nuove presenze, destinate ad innestarsi nel tessuto mortificato di un continente che per secoli è stato il centro del mondo, ebbene queste vite non possono essere che una speranza di rinascita per il nostro Continente, una occasione di far scorrere nuova linfa nei calami esausti di una cultura oramai tropo ripiegata in se stessa. Non sono forse i braccianti immigrati che spesso insegnano nuovamente ai nostri a lottare nelle campagne?

 

Non è forse la loro gioventù turbinosa che può nuovamente ispirare i ragazzi continentali rosi dall’indifferenza a incontrare altre visioni del mondo? Non sono altre lingue che possono arricchire quella grande lingua europea che, come dice Balibar, è la traduzione? Accogliere il diverso, dunque, è una occasione da non perdere, oltre che un dovere è una grande opportunità di trasformazione di un tessuto sclerotizzato da false contrapposizioni e da una secolarizzazione che non ci consente di sognare il sogno di una Europa interculturale, inclusiva, realmente unita da quel grande collante che sono le sue diversità.

 

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