Di fronte allo scenario mondiale, dai nuovi protagonismi dell’America latina alla più che emersa potenza cinese e rinascita russa, solo l’Unione Europea resta vassalla fedele delle politiche estere degli Stati uniti. La partition armata dell’Iraq, la scomposizione siriana, il caos libico, l’irrisolta questione palestinese e quella kosovara (lo Stato del Kosovo c’è, dopo i raid Nato, quello palestinese, dopo 47 anni di risoluzioni Onu, no), il pantano afghano, sono solo le emergenze più acute di una serie di archi di crisi frutto del decadimento Usa dal ruolo egemone di unica superpotenza dell’ultimo decennio del secolo scorso, ad uno tra i big player globali. L’aggressività dell’allargamento — a guida americana — della Nato a est e nella crisi Ucraina, a ridosso dei confini russi, nasconde molto poco sotto il manto della difesa dei valori democratici e del ritorno del nemico di sempre, la necessità di vendere sistemi d’arma made in Usa e così governare con l’indotto necessario all’intelligence militare anche i comparti civili europei. E in questo scenario, la Ue non trova nulla di meglio che sottomettersi ai diktat del Dipartimento di Stato che orientano le politiche estere dei singoli stati dell’Unione. La crisi scatenata dall’incontrollata espansione della finanza globale, in parte superata a suon di precarizzazione e flessibilità crescenti sia oltre Atlantico che sul Vecchio Continente, non fa che acuire questa evidente subalternità poiché il riarmo, con tutte le sue conseguenze economiche e logistiche, le servitù militari, il controllo delle informazioni e le ubiquitarie restrizioni delle libertà personali in nome della sicurezza, restringono ancor di più l’aria di manovra autonoma comunitaria ad una serie di micro aggiustamenti da gioco dell’oca sociale, per cui se si evidenzia un avanzamento in certi settori, ad esempio dell’occupazione, subito si è costretti ad un passo indietro in termini di diritti del lavoro. Questo vassallaggio è dunque funzionale solo ai proconsoli dell’Impero, multinazionali, apparati militari, grandi imprese sistema finanziario e creditizio, non certo ai cittadini dei singoli Stati europei che pagano in termini di welfare il ritorno prepotente al warfare. E allora che fare? In vista delle formazione dei gruppi parlamentari al parlamento europeo e dei Commissari con le relative deleghe, certamente il gruppo Socialista, il Gue ed i Verdi hanno la fortissima responsabilità di battere un colpo in tema di autonomia politica delle azioni comunitarie negli scenari che toccano direttamente gli interessi continentali. In altri termini una netta resistenza alle richieste di riarmarsi che vengono dagli Usa, un dialogo aperto con la Russia, un ritorno alle pratiche di associazione della Turchia, per depotenziare il neo ottomanesimo di Erdogan, una presenza sul terreno della guerra civile siriana sia con aiuti umanitari civili che nella mediazione per una risolutiva Ginevra 3, il rilancio del ruolo di Bruxelles nel sostegno del nuovo governo di unità nazionale palestinese, affiancati da politiche continentali di accoglienza per i migranti e il sostegno ai diritti umani nei paesi di grande instabilità con azioni di cooperazione, sono tra le priorità da imporre al nuovo Rappresentante della politica estera comunitaria. I gruppi progressisti dovrebbero unirsi su questo, sia per contrastare le forze di destra ed antieuropeiste, sia perché l’orizzonte di una vera unione politica passa, come avevano intuito i padri fondatori, da una messa in comune delle azioni estere prima ancora che della creazione del mercato interno. Non dimentichiamo che se verrà firmato il Trattato di commercio con gli Usa in totale subalternità politica prima ancora che economica, le conseguenze saranno devastati e solo una parte se ne beneficeranno. Se invece si potrà bilanciare il peso delle relazioni geopolitiche europee includendo altri partenariati importanti come quelli che passano attraverso la Russia la Cina e l’Iran, allora le bilancia sarà più equa. Infine, i Socialisti, il Gue ed i Verdi dovrebbero fare attenzione alle manovre che si stanno facendo su Pascal Lamy come Presidente della Commissione. Non dimentichiamoci la sua parabola nel Wto ed i suoi fallimenti nella gestione di questa organizzazione iperliberista. Sarebbe esiziale che potesse riproporre a livello europeo le stesse logiche che hanno governato il commercio mondiale nell’ultimo decennio.