La Crimea tra Oriente ed Occidente

Ma la Crimea è in Oriente o in Occidente? Appartiene culturalmente alla Russia o all’Europa? O, come dimostra la sua ascendenza mitologica, è stata piuttosto «annessa» all’Occidente con un atto di forza che ne ha costretto la presenza nel campo occidentale suo malgrado. In realtà, all’origine della storia, nel Grande Tempo del mito, come lo definisce Mircea Eliade, il Tempo fuori dal tempo in cui ogni gesto diventa fondatore di tutti quelli che lo seguiranno, il Tempo di «ciò che mai è stato ma che sempre sarà» come poeticamente lo definiva Cesare Pavese, la Crimea, all’interno del Mar Nero, era decisamente una terra altra rispetto al mondo greco, una terra di passaggi continui, che non voleva legarsi a nessuna appartenenza poiché questa natura ambivalente era ciò che ne costituiva la cifra, la ragion d’essere nel mondo arcaico. Appartenere a modelli diversi di civilizzazione, come schematicamente si possono definire l’Oriente e l’Occidente, significa dunque anzitutto focalizzare l’idea del transito, della soglia, del senso metamorfico che caratterizza, sin dall’antichità, l’«essere tra». Per ritrovare allora la Crimea nelle narrazioni mitologiche dobbiamo tornare alle Argonautiche di Apollonio Rodio, alla ricerca del Vello d’Oro da parte di Giasone e della sua spedizione militare; perché di questo si tratta. Giasone esegue un ordine impartitogli dal re Pelia, diventato re di Iolco dopo aver usurpato il trono a suo fratello Esone, da lui fatto imprigionare insieme al resto della famiglia. Per l’autore del racconto la vicenda si svolge chiaramente in illo tempore, addirittura prima dell’Odissea, cioè in un tempo precedente quelle vicende da cui, secondo Adorno ed Horkheimer nel loro Dialettica dell’Illuminismo, viene chiaramente delineata la figura dell’«eroe borghese» Ulisse, fondatore della società proprietaria che sarà la base del dominio Occidentale sul Mondo. E allora dov’era la Crimea al tempo degli Argonauti? La penisola si trovava al centro di quello che allora era il Ponto Eusino, il Mar Nero attuale, un mare interno ed irraggiungibile dall’esterno per via delle Rupi simplegadi che impedivano alle navi il passaggio dal canale di ingresso, quello che oggi sono i Dardanelli. Ma andiamo con ordine, cominciamo dal nome: Ponto Eusino. Qui già capiamo il senso, il verso, nel quale l’Occidente greco vuole piegare la geografia a suo vantaggio. Eusino significa «ospitale» in greco da eu «buono» e xeinos «ospitale». Ma prima della spedizione degli Argonauti, e del loro successo nel recuperare il Vello d’Oro, quello stesso mare era detto «inospitale» cioè axeinos; chi vince secondo le sue regole cambia il nome e la natura dei luoghi: nomen omen. Siamo di fronte ad un gesto di imperio certamente non condiviso dalle popolazioni locali che si vedono cambiare la loro natura dall’esterno e non certo per una loro autonoma scelta. La Crimea ceduta dall’Unione Sovietica all’Ucraina, ed oggi tornata verso la Russia, è allora roba antica. Ma ciò che ci dice il mito non finisce certo qui: è, in realtà, un episodio centrale delle Argonautiche che ci chiarisce quale sia realmente il gesto simbolico che assoggetta questa parte del mondo all’Occidente, cercando, per così dire, di congelarne la caratteristica metamorfica essenziale, di terra di passaggio che non vuole essere assoggettata a nessuno in particolare, e che continuerà a oscillare da una parte all’altra nel corso della sua storia: il passaggio delle Rupi simplegadi. Erano queste delle rupi in perenne movimento, da ciò il temine «simplegadi» che deriva da syn «insieme» e plesso «urtare», che impedivano l’accesso. Con l’aiuto di una colomba ma soprattutto di Atena, la nave Argo riesce a passare e dunque entra, per prima, nel Ponto Eusino, espugnandolo finalmente. Da quel momento, ed è questo il particolare che ci interessa, le Rupi si immobilizzano, ma non per sempre, consentendo sì ai nuovi conquistatori di poter entrare ed uscire liberamente dal Pontos, da questo momento divenuto Eusino, ma sempre mantenendo dentro di esse un residuo vibratorio potenziale. Il mito dunque è chiaro: la Crimea viene annessa all’Occidente con un atto di forza, appoggiato dalle divinità olimpiche, ma la sua caratteristica simbolica, la mobilità delle Rupi che impediva l’accesso e dunque la conquista definitiva, viene solo congelata, non azzerata. Ecco, allora, che di fronte agli avvenimenti attuali di un referendum popolare che riavvicina la Crimea alla Russia, possiamo vedere il rinascere di quell’ansia metamorfica, quella naturale ed indomabile necessità di cambiamento ed autonomia insita in tutta la zona del Mar Nero, mai appartenuta in profondità né al campo occidentale né a quello orientale. Un residuo scossone delle Rupi simplagadi che, nella loro materia profonda, mai hanno smesso di vibrare.

 

Raffaele K Salinari

 

Viaggio_argonauti

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