Dove gli Angeli esitano, Da Alias 3-5-2014

«Chi se io gridassi mi udirebbe mai dalle schiere degli angeli?… Ogni angelo è tremendo»; così canta Rilke nell’aprire le sue Elegie Duinesi. Ma forse esistono altri tipi di angeli, meno distanti e terribili di quelli invocati dal poeta. Nella chiesa di San Martino in Bologna, ad esempio, è visibile una tela di Francesco Brizzi: è un’immagine degli Angeli Custodi che li ritrae sorridenti e bellissimi accanto ad alcuni bambini che giocano, come nel quadro di Antonio Giovanni Galli detto Lo Spadarino, della scuola di Caravaggio. Osservando questi dipinti si rimane colpiti dalle fattezze dei bambini e dei loro Angeli: sono identiche; gli stessi tratti nei volti dei bimbi si ritrovano in quelli della loro Daēnā.

 

L’Angelo dell’anima

Chi è la Daēnā? È l’«Angelo dell’Anima»; così Henry Corbin ne introduce la figura nel suo famoso saggio sul misticismo iranico Corpo spirituale e Terra celeste.

«Alla domanda dell’anima stupefatta che chiede ma chi sei? alla fanciulla che avanza all’ingresso del Ponte Chinvat e la cui bellezza risplende più di ogni altra bellezza mai intravista nel mondo terrestre, essa risponde sono la tua propria Daēnā – ciò che vuol dire: io sono in persona la fede che hai professato e quella che te l’ha ispirata, quella per cui hai garantito e quella che ti ha guidato, quella che ti ha riconfortato e quella che ora ti giudica, poiché io sono in persona l’Immagine voluta infine da te stesso. Non è nel potere di un essere umano distruggere la propria idea celeste, ma è in suo potere tradirla, separarsene, non avere di fronte a sé, all’ingresso del Ponte Chinvat, che la caricatura abominevole e demoniaca del suo io abbandonato a se stesso».

Il Ponte Chinvat è il luogo di passaggio tra la vita e la morte, il momento in cui ognuno di noi vede la propria Daēnā e comprende, in un istante di rivelazione suprema, se andrà verso la luce o le tenebre. Ma ad ognuno, in ogni momento della vita, è possibile averne una prefigurazione osservando il riflesso di se stessi rispecchiato nel volto di un Angelo che tutti ci comprende, del quale siamo solo un tratto del Volto: l’Angelo del Mondo.

L’Angelo dell’Anima come personificazione e destino delle nostre stesse opere in vita è dunque la matrice di quella figura della devozione popolare cristiana che è l’Angelo Custode, oggi ridotto a semplice guida subalterna a Potenze superiori, nell’originale precristiano, invece, vera e propria Potenza egli stesso, come risuona ancora nell’etimologia greca anghelos: cioè il messaggero che mantiene vivo il dialogo tra noi e l’insieme delle altre manifestazioni che compongono il Volto dell’Angelo del Mondo; per questo ogni giorno egli ci sussurra lo stesso messaggio: «Oggi è il Giorno del Giudizio!».

Forse Wim Wenders ha umanizzato il suo Angelo Custode e messo le ali alla sua trapezista proprio perché essi meglio svolgessero questo compito. «L’Immagine che ho creata è quella che accompagnerà la mia morte e in questa immagine avrò vissuto» dice l’Angelo fattosi uomo mentre finalmente accompagna nelle sue acrobazie sulla corda la trapezista angelicata de Il cielo sopra Berlino. Un pensiero che compendia la visione di se stesso prima come Angelo e poi come uomo di quello stesso, Daēnā finalmente attualizzata nel Mondo attraverso l’amore per la figura che, incrociando il suo cammino, si fa Angelo a sua volta.

E, curiosamente, chi coglie questo stesso aspetto è un altro scrittore che tratta anch’esso di pratiche circensi: «Una solitudine mortale… Ma l’angelo si fa annunciare, devi riceverlo da solo. Per noi l’Angelo è la sera, scesa sulla pista sfolgorante. Non importa se, paradossalmente la tua solitudine è in piena luce e l’oscurità formata da migliaia di occhi che ti giudicano, che temono e sperano che tu cada: danzerai al di sopra e al centro di una solitudine desertica, gli occhi bendati, se puoi, le palpebre sigillate.

Ma nulla – soprattutto non gli applausi o le risate – ti impedirà di danzare per la tua immagine. Tu sei un artista – ahimè – non puoi sottrarti alla voragine spaventosa dei tuoi occhi. Narciso danza? Civetteria, egoismo, amore di sé; no, si tratta di ben altro. Forse della Morte stessa… La Morte – la Morte di cui ti parlo – non è quella che seguirà la tua caduta, ma quella che precede la tua apparizione sul filo…

Tu entri e sei solo. Apparentemente, perché egli è là. Egli viene non so da dove, forse lo portavi tu entrando, o lo evoca la solitudine, è lo stesso. È per lui che fissi la tua immagine».

Così Jean Genet vede Abdallah, il suo amante funambolo, nel libro omonimo. Un testo nel quale l’autore ripercorre, non solo la sua storia d’amore per il giovane, ma le fasi della sua iniziazione all’arte della corda anche attraverso la figura del suo Angelo Custode.

E dunque l’immagine della corda tesa come metafora del Ponte Chinvat attraversa entrambe le scene.

Ma a che serve, in questa modernità, rivedere la figura dell’Angelo dell’Anima come manifestazione del nostro stesso essere nel Mondo? O meglio, come possiamo utilizzare questa Immagine per cogliere il Mondo nella sua totalità in atto, come un «chi è» del quale facciamo intrinsecamente parte?

La filosofia occidentale è stata la scena di ciò che si può definire un «combattimento per l’Anima del Mondo». Da una parte troviamo, quali «cavalieri» difensori di questa anima i Platonici, da Platone stesso a Plotino, sino a Pico della Mirandola e Jacob Boheme e la sua scuola con tutti coloro che gli sono affini, premoderni potremo definirli, sino a Walter Benjamin ed alla sua strenua perorazione dell’apocatastasi rivoluzionaria. Dall’altra parte i suoi antagonisti: dagli Atomisti ionici a Descartres, sino agli attuali teorici bioliberisti del «sorvegliare e punire».

Si tratta di un combattimento definitivamente perduto avendo perso il Mondo la sua Anima, di una disfatta le cui conseguenze pesano, senza comprensione, sulle nostre visioni moderne del Mondo? Forse no se proviamo a dotarci di strumenti immaginali che possano contrastare la progressiva perdita di senso del nostro esserci col Mondo e non solo nel Mondo.

In un libro Sul problema dell’anima, G.T. Fechner l’autore di Nanna o L’anima delle piante, racconta come un mattino di primavera, mentre una luce di trasfigurazione cingeva d’aureola la faccia della Terra, fu colpito non solo dall’idea estetica, ma dalla visione e dall’evidenza concreta che «la terra è un Angelo, un Angelo così sontuosamente reale, così simile ad un fiore!». Ma, aggiunge malinconicamente, un’esperienza come questa passa ai nostri giorni per immaginaria. Questa perspicua percezione presuppone invece il perfetto esercizio di quella facoltà di cui Fechner precisamente lamenta la degradazione ed il rifiuto.

Il fatto che l’esperienza dell’Angelo della Terra possa essere confinata nell’irreale, significa e rivela che, al contrario, questa maniera di percepire e di meditare la Terra è legata ad facoltà noetica affatto particolare che dobbiamo riscoprire, per valorizzare i mezzi di conoscenza di cui ancora, nonostante tutto, disponiamo.

E certamente incontrare la Terra non come insieme di fatti fisici, ma nella persona del suo Angelo, questo è un accadimento essenzialmente psichico che non può «aver luogo» né nel mondo della «illusione», né sul piano dei semplici dati sensibili.

E allora dov’è questo «luogo» mentale in cui il Mondo può essere visto come un Angelo, e noi come parte di esso? E ancora, qual è la particolare facoltà noetica che ci consente di coglierlo? La percezione dell’Angelo della Terra si compirà nel nostro Mundus Imaginalis, attraverso la pratica dell’Imaginatio Vera.

 

Mundus Imaginalis

Ecco, allora, che Corbin definisce, nel capitolo introduttivo di Corpo spirituale e Terra celeste, il Mundus Imaginalis come il «luogo» in cui avviene la percezione del «Mondo come Angelo».

La chiave interpretativa di questo mondo spirituale come matrice di una visione perspicua delle connessioni che attraversano il mondo fenomenico si ritrova nella posizione di coloro che vengono chiamati i «Platonici di Persia»: gli Ishrāqīyūn del ceppo spirituale di Sohravardī (XII secolo).

L’espressione Mundus Imaginalis è l’equivalente latino dell’arabo ‘ālam al-mithāl, al‘ālam al-mithālī, in italiano «Mondo Immaginale», termine-chiave, poiché i termini latini hanno il vantaggio di fissare le tematiche, preservandole da traduzioni aleatorie. E qui che agisce la nostra Imaginatio Vera, quella facoltà cognitiva – Nous Poietikos o Intellectus Agens, in arabo al-‘aql al-fa’āl – di cui parla anche Aristotele: la capacità dell’intelletto non solo di cogliere le essenze che accomunano degli oggetti, ma di attualizzarle, dando forma così alla realtà sui generis che forma la nostra Geografia Immaginale.

«Da molto tempo la filosofia occidentale, quella ‘ufficiale’ trascinata nella scia delle scienze positive, ammette soltanto due fonti del conoscere. Vi è la percezione sensibile, che fornisce i dati chiamati empirici. E vi sono i concetti dell’intelletto, il mondo delle leggi che regolano tali dati empirici. Per essa era pacifico che l’Immaginazione emette solo dell’immaginario, vale a dire dell’irreale, della finzione, ecc. A questa stregua non resta speranza alcuna di ritrovare la realtà sui generis di un mondo soprasensibile, che non è il mondo empirico dei sensi né il mondo astratto dell’intelletto».

Nel recuperare le intenzioni costitutive di questo intento per cui la Terra è figurata, meditata, e incontrata nella persona del suo Angelo, si scopre così che si tratta non tanto di rispondere a interrogativi concernenti la posizione spaziale delle forme, «che cosa è?, dov’è?», quanto di empatizzare con delle sostanze, dei «chi è?», per trovare come ci corrispondono.

Basti solo pensare alla definizione di Bene Comune che scaturisce da questa visione per comprenderne la portata: Bene Comune significa qui non che la «cosa in sé» è a disposizione di noi tutti, ma che siamo noi tutti ad avere qualcosa in comune con essa, che siamo parti comuni allo stesso Bene, forme diverse della stessa sostanza.

E questa comunanza, come dice il Talmud di Gerusalemme, implica delle responsabilità: «Un giorno renderai conto di tutto ciò che il tuo occhio ha visto e da cui non hai tratto beneficio e piacere».

 

Dove gli Angeli esitano

La pratica dell’Immaginazione Vera è la stessa che troviamo espressa da Jung nel Fiore d’oro, quando introduce il concetto di «disciplina» immaginale» in relazione all’osservazione dei mandala; è lo «sguardo dell’anima» di cui parla Platone nel Sofista (254-B), cioè la volontà di vedere il numinoso che attraversa e sostiene tutte le cose, noi stessi inclusi.

E di questa «disciplina» parla anche Gregory Bateson, nel suo tentativo di creare una nuova epistemologia per svelare la «struttura che connette» il vivente; egli propone l’identità essenziale tra tutte le manifestazioni del Mondo come definizione stessa di ecologia: «Ciò che noi crediamo di essere, dovrebbe essere compatibile con ciò che crediamo del Mondo intorno a noi».

Nel suo ultimo libro, che non a caso si chiama Dove gli Angeli esitano, egli dedica la sua estrema riflessione alla ricerca di questo «intermondo», cercando il Volto dell’Angelo nell’evenienza di una «trama che connette» tutto il vivente attraverso livelli sempre più analogicamente complessi di comunicazione, che egli definisce come mente, intendendo con questo ogni sistema capace di scambiare informazioni tra manifestazioni vitali, qualunque ne sia il livello di sensibilità o autoconsapevolezza. Una posizione decisamente anticartesiana che ribalta la distinzione fondamentale del «moderno» tra res extensa e res cogitans attribuendo ad ogni aggregato materiale una qualche forma di entità.

In altre parole le risposte che cerchiamo non sono solo dentro di noi ma giacciono nell’intelligenza collettiva formata da tutte le manifestazioni viventi; il Mundus Imaginalis serve come luogo di connessione con queste Immagini del Mondo in atto che divengono così la guida per il nostro esserci.

Bateson parla spesso della responsabilità dei «costruttori di miti collettivi», tra cui i poeti e gli scienziati, che dovranno lavorare sempre più insieme per far emergere, alla consapevolezza dell’umanità, non solo i luoghi dove «si incontrano il mentale ed il materiale», ma anche che esistono modalità di sensibilità, e vitalità, diverse da quella umana, ma concorrenti a formare i tratti del Volto dell’Angelo del Mondo.

Ma, come già sottolineato da Jung, tutte le operazioni efficaci, inclusa la pratica dell’Immaginale, fanno correre rischi; Corbin ammonisce su come sia possibile scivolare facilmente verso un suo utilizzo distorto, apolitico, sganciato dalle condizioni fattuali di chi abita il Mondo; potremmo dire new age.

L’immaginario può essere innocuo l’Immaginale non lo è mai.

Lo storico dell’arte Didi-Huberman, da parte sua, coglie questa opportunità sottolineando come per portare alla luce una funzione così cruciale – così antropologicamente formatrice – delle Immagini che connettono, occorre aprire gli occhi su tutto ciò che avviene, secondo il concetto benjaminiano dello «storico straccivendolo» che guarda la realtà anche con gli occhi sbarrati e rivolti all’indietro dell’Angelo della Storia. Ma occorre anche chiudere gli occhi per lasciar venire a noi i blocchi di relazioni, le condensazioni, gli spostamenti, le analogie inosservabili a occhio nudo.

Se è vero che Aby Warburg, prima di Benjamin, col suo progetto Mnemosyne chiede alla storia delle immagini di assumersi il «compito di interpretare i sogni» (die Aufgabe der Traumdeutung) allora si deve accettare che l’interprete diventi parte ricevente: così, in una sorta di «principio di indeterminazione» di Heisenberg immaginale, in cui l’osservatore diviene il fenomeno osservato, il cerchio si chiude.

Alla fine di questa genealogia visionaria che parte dai platonici di Oriente per arrivare a Benjamin, il Volto della Daēnā, di volta in volta Angelo dell’Anima, Angelo Custode, o Angelo della Storia, risulta essere la figura paradigmatica del nostro stesso volto, la cui intelligibilità empatica ci conduce alla visione dell’Angelo del Mondo; alla visione del Mondo come angelofania.

Questa Mappa Mundi formata dalla nostra Geografia Immaginale è dunque il «luogo degli avvenimenti dell’anima»; senza, essi non hanno più un luogo: cioè «non hanno più luogo».

E tra gli «avvenimenti dell’anima», ci dice il nostro Angelo Custode, ci siamo anche noi, poiché nulla di meno del nostro «luogo» nell’esistenza, il suo senso stesso, è anima.

 angeli custodi

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