Che senso ha scrivere una storia dell’altalena, richiamarne i significati sacri, gli usi visionari, le ascendenze mitologiche? In fondo è solo un gioco, un innocente passatempo per bambini che però, e qui sta l’arcano, mai lascia indifferenti, sempre turba l’anima in modo inspiegabile. Forse è perché viene da un tempo lontano, quando le distanze tra l’umano e il divino non erano, come oggi, incommensurabili, e quel gioco simboleggiava la loro congiunzione: una pratica estatica per rigenerarsi al cospetto della zoe.
Nell’antica Grecia zoe significava Vita, senza nessuna caratterizzazione: esistenza incondizionata. E questa zoe, che non ha contorni e neppure definizioni, ha il suo sicuro opposto in thanatos, la morte. Ciò che in zoe risuona in modo certo e chiaro è «non morte»: qualcosa che non la lascia avvicinare a sé; da questo Bataille vedrà nell’erotismo l’affermazione della Vita sino dentro la morte. Agli albori della civilizzazione mediterranea governava il nostro mondo una sola Grande Dea: Lei rappresentava il culto universale.
Era per Lei che ci si inebriava, ci si accoppiava. A Creta se ne cercava la visione balzando sull’altalena formata dalle corna del toro; altre movenze del corpo erano gesti sacri a Lei dedicati: danze, acrobazie, certe forme di prostituzione. Erede e testimone di questa primigenia spiritualità resterà, nella cultura greca e sino ai giorni nostri, Dioniso, il dio-archetipo della «vita indistruttibile»; emanazione trans-gender della Dea, egli solo manterrà nei secoli aperta la porta verso l’ebbrezza mistica che avvicina al vortice della Vita, dove Lei ancora intreccia la «trama nascosta» che unifica la realtà.
E allora, se seguiamo il percorso che parte dalla taurocatapsia minoica sino alle altalene dei tarantolati, passando per l’incedere oscillante dei fedeli nelle processioni dei Misteri nel Sud d’Italia – dove ritroviamo la Madonna come figura epigona della Dea – per arrivare finalmente a simboli popolari più quotidiani, come i pendagli che oscillano dai nostri specchietti retrovisori, forse possiamo cogliere, anche in queste opache immagini odierne, un barbaglio della luce originaria che emana dal sacro.