Jung nel suo saggio Presente e Futuro sostiene che noi viviamo una «metamorfosi degli dèi», ossia dei principi e dei simboli fondamentali. Questa esigenza del nostro tempo, che secondo il teorico dell’inconscio collettivo, non abbiamo scelto consapevolmente, sarebbe l’espressione dell’uomo interiore ed inconscio che si trasforma, per tornare ad ascoltare le voce del mondo. Di questo mutamento gravido di conseguenze, chiosa Jung, dovranno rendersi conto le future generazioni, «sempre che l’umanità voglia salvarsi dall’autodistruzione che la minaccia per la potenza della sua tecnica e della sua scienza». Sono parole scritte mezzo secolo fa, ma ciò che ci dicono illumina di una luce analitica la profondità epocale delle dimissione del Papa. Il soglio di Pietro, infatti, per la struttura gerarchica della chiesa, è la quintessenza dell’istituzione ecclesiale, il suo vertice simbolico secolare. Le dimissioni di Benedetto XVI, infatti, per la complessità dei livelli di lettura, devono essere considerate anche su questo piano, dato che il sacro si nutre, e a sua volta alimenta, i suoi simboli. E, come evoca la parola, in particolare nella nostra lingua, le dimissioni, e soprattutto il loro «orientamento» sono più di una. Dimissum, infatti, significa in latino sia allontanarsi che mandare in giro; il papa che si dimette, dunque, mentre si allontana dal soglio pontificale, manda in giro un messaggio. L’atto delle dimissioni non è quindi a senso unico, ma stabilisce una sorta di circolarità che, mentre emette una risposta, evoca una domanda. E questa domanda è evidentemente problematica: inerisce il ruolo stesso del Papa, la sua possibilità, nel mondo contemporaneo, a reggere la chiesa così come il suo ruolo è stato sino ad ora concepito. Al di la delle debolezze dell’uomo Ratzinger, infatti, anzi forse proprio attraverso di esse, è il Papa Benedetto XVI che ha voluto dimettersi, cioè lanciare un messaggio simbolico a tutta la chiesa nella sua forma secolare. Ed il livello simbolico delle dimissioni diventa molto più complesso, e per certi versi illuminante della crisi dell’istituzione ecclesiale, quando andiamo a cercare un altro significato di «dimissum», cioè quel verbum dimissum, la parola perduta, la salvezza di tutti e per tutti, che è sempre stata la pietra di inciampo della chiesa vaticana nei confronti delle altre sensibilità spirituali. In altre parole, è solo la chiesa di Roma, oggi, a detenere la verità dottrinale o, meglio, questa verità non si è dimostrata insufficiente a poter veicolare il messaggio di salvezza del Cristo nel mondo? Forse sarebbe il momento di cercare, umilmente, di andare oltre l’autosufficienza e tornare al dialogo anche con quanti, al di fuori della istituzione ecclesiale vaticana, cercano anch’essi la Luce del mondo? Ed infatti, lo sconvolgimento profondo aperto dalle dimissioni del Papa, arriva a completare la crisi già in atto attraverso l’involuzione di altri simboli della spiritualità secolarizzata, come il compasso e la squadra massonica e la stella di Davide. Le degenerazioni massoniche sono troppo note per tornarci, ma qui preme evidenziare come questo tipo peculiare di spiritualità fosse in crisi da tempo proprio per la sua crescente commistione alle cure secolari, e come abbia per molto versi preceduto il momento attuale. Così l’inserimento di un simbolo di saggezza antica, e di apertura, la stella di Davide, come emblema di uno stato confessionale ma soprattutto sionista, rinnega alla radice quella ricerca continua che l’ebraismo ha sempre tenuta aperta. E dunque non è solo questo Papa ad uscire di scena, ma una idea di chiesa che, forse, con queste dimissioni, comincerà ad interrogarsi sul senso di un futuro comune, di eccelsia. Per fare questo bisogna trarre ispirazione dalle forze vive che chiedono non solo di essere ascoltate ma di poter, finalmente, tornare protagoniste della vita spirituale delle chiesa e del mondo: e c’è solo un continente che assomma la forza simbolica necessaria: l’Africa.
Raffaele K Salinari