La riforma mancata ( nonostante il Ministro)

Le domande sono semplici, e le risposte, a questo punto, anche. Perché tra le riforme approvate o da approvare, a tambur battente dal Governo tecnico, peraltro sostenuto da una maggioranza trasversale di destra, centro, centro sinistra, non si parla di quella della Cooperazione Internazionale allo Sviluppo, la cui legge vigente risale addirittura al 1987, prima della caduta del muro di Belino? Perché, pur in presenza di un Ministro per la Cooperazione all’integrazione sociale, l’ottimo “tecnico” Riccardi, il Parlamento langue, mentre si continua a prender tempo convocando tavoli di consultazione, rituali iniziative di partito, a maggior ragione in presenza di almeno dieci anni di audizioni, decine di proposte di riforma, dibattiti, riflessioni e via enumerando? Come mai i fondi per le attività di solidarietà internazionale continuano ad essere erosi ogni qual volta si debba far cassa (ultimo clamoroso esempio il 5 per mille deviato verso le emergenze territoriali) in assenza di scandali da prima pagina? Come mai l’Italia è l’ultimo Paese dei G8 come dotazione di fondi per questa attività e non rispetta in nessun modo gli impegni internazionali presi in sede ONU e UE senza che il Presidente del Consiglio lo consideri un problema di profilo internazionale? La risposta a queste serie di domande, abbastanza retoriche ovviamente, è che la riforma della Cooperazione, ed il conseguente aumento dei fondi, non c’è l’hanno chiesta né i mercati, né le Borse. E dunque, come direbbe Nietzsche, il resto è conseguenza. A questo punto, se ce ne fosse bisogno, si evidenza ancora più chiaramente a chi risponde il Governo “tecnico” al quale i partiti, in affanno di elaborazione politica, sono estremamente contenti di affidare il proprio, seppur residuale, protagonismo. In realtà dietro la riforma della Cooperazione internazionale, vive un’idea radicalmente diversa non solo delle relazioni internazionali ma anche della solidarietà sociale, della coesione interna, della costruzione stessa di una democrazia inclusiva e che consenta la percorribilità dei diritti da parte di tutti i cittadini e non solo di chi ha accumulato privilegi, sapere e potere. All’epoca dell’indipendenza dell’India il Mahatma Gandhi insisteva con i suoi collaboratori nella necessità di costruire un’India libera, sovrana, e che potesse assicurare le cure ai lebbrosi. Alla domanda sul perché ci si dovesse impegnare tanto per questi reietti, il Mahatma spiegava che se si fosse riusciti a costruire un sistema di welfare che si prendeva a carico gli ultimi, certamente si sarebbe stati in grado di includere tutti gli altri. Questa è logica che ha guidato, dalla seconda metà degli anni settanta sino alla nascita del WTO, la politica estera dell’Europa comunitaria, allora convinta che la coesione interna tra gli stati passasse anche da una messa in comune delle politiche di sviluppo verso i paesi terzi. Se oggi pensiamo alle occasioni perse nei confronti dell’inclusione all’interno di un quadro euro mediterraneo delle “primavere arabe” e di come stiamo lasciando andare in frantumi gli accordi di associazione europea con la Turchia, capiamo che l’assenza della riforma della Cooperazione in Italia è solo uno dei tasselli di questo progetto neoliberista che, non solo produce ed alimenta la crisi, ma ha bisogno di gradienti sempre più acuti di “insicurezza” per giustificare l’assenza di democrazia e la dittatura di una razionalità economica attualmente e simbolicamente opposta a quella del vivente.

Raffaele K Salinari

 pubblicato sul  Il Manifesto del 8 aprile 2012

 

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