La manifestazione di domenica scorsa ha plasticamente rappresentato la prima vittoria per la riappropriazione del simbolico democratico nel nostro Paese. Già la scelta del tempo, quel “Se non ora quando”, condensa e dispiega la potenza dello Jetzt del momento propizio, del Kairos che determina se stesso contro il vecchio tempo lineare di Krons, la divinità patriarcale che divora i figli e che viene sconfitto poiché Rea-Gaia, la Grande Madre, così decide dopo aver ascoltato il dolore delle creature costrette dal tiranno dei mondi nel suo ventre. L'”ora” della manifestazione, dunque, ha creato il suo proprio “quando”, ed ha aperto così un passaggio. I passages sono, ha detto Aragon, le situazioni in cui non si può sostare più di un istante ma, in questo istante, siamo posti di fronte all’evento che sembra contenere ogni evento possibile. Qui, in questi passages, diceva Benjamin, «un’epoca sogna la successiva». Come una luce non si ricorda per la sua durata ma per la sua intensità, la manifestazione delle donne, e degli uomini che hanno in questa occasione ritrovato il loro ruolo di paredri, ha illuminato quel tempo, che sembrava irredimibilmente oscuro, della notte repubblicana. Quei corpi femminili hanno creato una perturbazione spazio-temporale evidente, nella quale la densità del loro passaggio, l’esposizione della nuda vita che è alla scaturigine di ogni diritto universale, ha piegato con un enorme capo di forza gli eventi, creando una configurazione radicalmente nuova. La battaglia per la decolonizzazione del simbolico pubblico e privato è esplosa con tutta la forza di una massa consapevole, di un “basta !” senza appello, senza ritorno, senza perdono. L’assenza dei simboli della politica-politica, delle bandiere dei partiti, dei responsabili politici che discutono a mezza bocca tra loro mentre stringono mani guardando altrove, il silenzio lasciato dagli slogan di parte che si affermano nella loro identità ristretta, ha lasciato allora il campo ad un’opera d’arte collettiva, dove la trama e l’ordito della narrazione erano intrecciate dall’esserci stesso delle donne, dal loro prepotente ritorno sul proscenio dell’inconscio collettivo e personale di ognuno di noi. Chi ha a cuore la Vita, e le singole vite nella Vita, le singole bios nella Zoè, non può non aver visto in questa manifestazione un ritorno della Dea-Madre che nei tempi pre-ellenici dominava con il suo potere creatore il Mediterraneo, della Potnia sovrana delle stagioni e del trascorrere delle esistenze, di cui le singole donne sono manifestazione caratterizzata ed altrettanto potente, quando la posta in gioco è il rispetto della Vita che loro rappresentano per mandato biologico. A differenza di altre manifestazioni, dunque, l’impressione di questa, letteralmente l’impronta che ha lasciato nell’anima di tanti, presenti od assenti, ricostruirà le immagini di un rinascimento simbolico che, lentamente ma inesorabilmente, scaccerà l’oscurità, il “sole nero” della mortificazione, ed illuminerà un percorso affatto nuovo anche se ciclicamente inscritto nella storia dei nostri popoli. Le “Egiziane” d’Italia hanno colto lo spirito del tempo, lo scirocco che spira dalla sponda Sud del Mediterraneo, ha trasportato sino a noi le voci di tante donne accomunate dagli stessi desideri e dalle stesse necessità. Prima che il calendario sancisca l’arrivo della bella stagione Venere urana si è mostrata in tutta la sua forza terribile a vedersi. Ora forse l’onda diverrà carsica, per un altro tempo, ma continuerà ad alimentarsi della consapevolezza di rappresentare un interesse più grande di tutto, la dignità della vita, e si orienterà con la necessità più stringente di ogni costrizione, quella di testimoniarlo con la propria stessa esistenza.
Pubblicato sul Manifesto il 19-2-2011