Il Gioco del Mondo. Conversazioni Re-esistenti sul modello di sviluppo e sul come e perché cambiarlo

Introduzione

Queste pagine riassumono quella parte di lezioni sull’origine del modello di sviluppo occidentale, che a sua volta sottende alle politiche ed alle pratiche della cosiddetta cooperazione allo sviluppo. Queste pratiche sono nate nel secondo dopoguerra sull’esigenza dell’Occidente, inteso come Europa e Stati Uniti, di mantenere, seppur attraverso forme e pratiche adatte ai tempi storici, la subalternità di interi continenti allo stile di vita consumogeno dei popoli ricchi.

Qui non tratterò dunque della storia della cooperazione, ma semplicemente dell’origine del nostro modello di civilizzazione occidentale, della scaturigine di uno stile di vita che oggi mette a serio rischio la continuazione della Vita sul nostro pianeta e che dunque va assolutamente e radicalmente cambiato.

Il Gioco del Mondo, titolo e motivo conduttore di queste riflessioni, è il secondo volume della “trilogia delle re-esistenza”, insieme a Re-esistenza contro Sopra-vivenza ed al Castello di sabbia; sono tre libri che riassumono i riferimenti filosofici e politici del mio pensiero re-esistente. In queste conversazioni cercherò di riassumerne il contenuto affinché l’idea di un modello di sviluppo alternativo al presente, e dunque di una cooperazione allo sviluppo radicalmente diversa da quella dominante, possa sorgere attraverso l’esplorazione di un punto di vita più profondo di quello immediatamente politico od economico, da una visione immaginale che si prefigura un Mondo come totalità, una vera e propria Immagine immaginante che nasce nella nostra psiche profonda, direi onirica, ancor prima che nella nostra mente razionale; una vera e propria rêverie sul Mondo, che poi diventa volontà agente e pratica di cambiamento.

Io penso che si debba partire dall’Immaginario, dalla concreta, e dico bene, concreta, possibilità di dotarci del tempo, degli spazi, e degli strumenti per immaginare il Mondo “dentro” e “ fuori” di noi, per poterlo concretamente cambiare, cambiando, al contempo, noi stessi: cambiare il Mondo attraverso noi stessi per cambiare noi stessi attraverso il Mondo. Anche se queste sono solo suggestioni, che potrebbero apparire vuote se confrontate alla dura realtà fenomenica del sottosviluppo e dell’economia liberista, noi però le capiamo, sentiamo che è proprio quello l’ambito dal quale ripartire per cambiare il Mondo, sappiamo intuitivamente che è esattamente questa potenza immaginale che ci viene negata quotidianamente dal modello liberista, che ci colonizza il simbolico con i suoi loghi mortificanti.

 

In queste brevi pagine non posso riportare tutte le articolazioni contenute nei libri, che spero possano essere di vostro interesse, ma cercherò comunque di schematizzare un discorso inerente la materia che dobbiamo trattare, e cioè l’evoluzione del modello di sviluppo attuale. Lo farò desumendo alcuni concetti base da questa serie di saggi che ho scritto, perché penso sia indispensabile dare a noi tutti gli strumenti critici per una nuova visione del Mondo “dentro” e “fuori” di noi. L’idea stessa del cambiamento nasce all’interno della nostra immaginazione; il Mondo, prima di trasformarlo fattualmente bisogna immaginarlo diverso da quello che è oggi. Il Mundus Imaginalis diventa dunque il primo terreno per il cambiamento dello stato di cose esistenti, il primo piano della rivoluzione o, meglio, dell’evoluzione possibile e necessaria. L’Immaginale dunque, la capacità di concepire una visione del Mondo per tradurla in cambiamento, crea Immagini che oltrepassano il pensiero.

Ho usato la parola Mondo con la maiuscola perché voglio sottolineare così una Immagine immaginante, in altre parole fare del Mondo l’insieme della manifestazioni della Vita, della zoè, come la chiamavano i greci. All’interno di questo Mondo immaginato come una entità vitale in ognuna delle sue componenti, la nostra non è che una della varie manifestazioni che la Vita ha scelto di dispiegare affinché la molteplicità della sua manifestazione potesse, nell’interazione che vive tra tutte loro, continuare il suo incessante flusso attraverso il tempo e le vite caratterizzate, le bios.

Noi siamo dunque solo una delle manifestazioni vitali; la Vita scorre attraverso di noi ma anche come noi, e questo ci carica di una responsabilità accresciuta dalla nostra supposta capacità di comprendere le relazioni che ci legano al Mondo “dentro e “fuori” di noi. «La trama [armonia] nascosta è più forte di quella manifesta»; così dice Eraclito di Efeso nel frammento che illumina l’intreccio tra Visibile ed Invisibile. Lo sguardo sui nodi che tessono queste due «trame», svela la risposta all’enigma che pone la Sfinge: chi è l’uomo? Ovvero, «chi è» la consapevolezza del Sé nelle relazioni che legano il Mondo? L’enigma della Sfinge ci interroga, allora, su una relazione che «non appartiene alla rappresentazione, all’apparenza», bensì all’ousía [ούσία], l’Invisibile «essenza [realtà] universale che è anche la nostra [che anche noi possediamo]»: l’identità con il Mondo. (cfr., Platone, Fedone 76 D-E).

«È sempre meglio sognare di tessere a un telaio appena iniziato, piuttosto che ad uno dove il tessuto sia già pronto per il taglio finale, perché esso corrisponde alla vita», dice Artemidoro, poiché

noi stessi siamo nodi tra i nodi: la trama e l’ordito tra Visibile ed Invisibile intrecciano tutte le manifestazioni; sta a noi ritrovarci nell’anima mundi: risuonare con l’«armonia nascosta». L’intento dell’enigma è interrogare questa relazione tra umanità e Mondo: il percorso dell’anima individuale verso la «conversione a se stessa».

 

E allora, dobbiamo intendere la domanda della Sfinge in questi termini: chi è un uomo che può riconoscersi nel Mondo, e «chi è» un Mondo che può riconoscersi nell’umanità? Rispondere all’enigma è, oggi, tanto più necessario, quanto più il sistema dominante mortifica l’anima: accecando il nostro sguardo sull’Invisibile, ci rende distruttori delle altre manifestazioni con le quali condividiamo l’ousía del Mondo. Dice Bateson: “È di importanza primaria che la nostra risposta sia in armonia col modo in cui gestiamo la nostra civiltà e ciò dovrebbe a sua volta essere in armonia con il funzionamento effettivo dei sistemi viventi […]. Inoltre le nostre idee su come rispondere all’enigma della Sfinge sono oggi in uno stato fluido. Ci troviamo in piena confusione: le nostre convinzioni vanno mutando con una velocità paragonabile a quella dei grandi mutamenti avvenuti nella Grecia classica […]. Ciò che noi crediamo di essere, dovrebbe essere compatibile con ciò che crediamo del mondo intorno a noi”. «Ciò che noi crediamo di essere», ed il «mondo intorno a noi», sono in realtà la stessa cosa, essendo il Mondo “dentro” e quello “fuori” di noi manifestazioni analoghe; ed è proprio risolvendo i problemi che questa coincidenza ci pone, che troviamo le risposte per sciogliere l’enigma, per salvarci.

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