La tragedia del reattore di Fukushima ha riacceso il dibattito sul nucleare portandolo al calor bianco. Molti gli interventi che, giustamente, criticano questa tecnologia, mettendo l’accento ora sui potenziali pericoli legati a fenomeni naturali, come è appunto il caso giapponese, o su questioni altrettanto importanti, quali l’impossibilità di smaltire le scorie radioattive o, ancora, il rapporto costo beneficio, alquanto basso, della produzione di energia elettrica da questa tecnologia. Naturalmente, in vista del referendum, ognuna di queste informazioni è importante e serve a dare all’opinione pubblica un quadro più chiaro delle motivazioni che ci spingono a rifiutare una scelta imposta dal governo, per puri fini speculativi, oltretutto contro un precedente referendum. E però, nei vari interventi, mi pare manchi una critica di fondo, epistemologica, alla questione nucleare, che dovrebbe invece sostenere tutte le nostre argomentazioni partendo dall’incompatibilità tra questa tecnologia ed una revisione del modello di civilizzazione che invece noi sosteniamo. Per completare il quadro, quindi, metterò in fila alcune considerazioni. In primis va ricordato che la fissione dell’atomo non è l’unica modalità di ricavare energia da processi fisici che implicano un rimaneggiamento della materia nelle sue componenti fondamentali, ma che, anzi, la nostra fonte principale di luce e calore, il sole, è una centrale atomica che, però, adotta un’altra modalità e cioè quella delle fusione. In altre parole da un paio di atomi di idrogeno se ne ricava uno di elio e l’elettrone espulso produce energia pulita, cioè senza scorie. Questo per dire che “atomico” o “nucleare” sono sinonimi di pericolo, radiazioni, inquinamento, solo al nostro livello di sviluppo tecnologico. Ora, vale la pena evolvere questo ragionamento cercando di capire perché siamo arrivati alla fissione e non abbiamo percorso la strada della fusione, se non marginalmente e con scarsa convinzione. Evidentemente perché la nostra scienza, figlia della nostra visione del mondo, produce separazione e scissione, a partire da quella tra umanità e mondo, “res extensa” e “res cogitans” come teorizzava Cartesio, e così arrivare, per approssimazioni successive ma sempre nello stesso solco, ad elaborare la tecnologia che “rompe” l’atomo per ricavarne energia, in prima battuta da usare come arma di distruzione di massa. Ecco che è la nostra stessa epistème scientifica a portarci verso le energie sporche e non rinnovabili che, tra l’altro, non siamo neanche in grado di governare. Da questo deriva che l’opposizione all’atomo “scisso” non è solo una questione inerente la sicurezza degli impianti od il trattamento delle scorie, bensì innerva l’impostazione stessa della nostra visione del mondo, tende a quel ricongiungimento, alla “fusione” della scissione tra umanità e natura e dunque all’elaborazione di una tecnologia alleata della ricomposizione tra “res extensa” e “res cogitans”. Non si trova ciò che non si cerca, ed è questa cecità fondamentale, epistemologica appunto, che ci spinge sempre più sulla strada di una tecnologia distruttiva che nessun livello di sicurezza potrà gestire proprio perché è essa stessa prodotta da una disgiunzione e dunque foriera di distruzione. E allora, la nostra contrarietà all’atomo “scisso” si accompagna anche ad una necessità di rottura epistemologica con la scienza bioliberista e all’elaborazione di un nuovo paradigma che parte non dal manomettere la vita per innovare la tecnologia, ma dal curare la vita per innovare la ricerca scientifica. Una scienza, in sintesi, femminile.
Raffaele K Salinari
Pubblicato sul quotidiano Il Manifesto 19-3-2011