2011.05.08
Benedetto Vecchi
MONDI PARALLELI
Quel breve e esaltante tuffo per entrare nel regno della libertà
«Tuffarsi», un saggio di Raffaele K. Salinari. Un affascinante viaggio per scoprire il valore politico di un’immagine presente in molte culture, dall’America Latina all’Asia
Cercare il punto di incontro tra la cultura occidentale e quella genericamente definita orientale. E’ questa l’attitudine del pensiero politicamente corretto, che scambia una mediazione al ribasso con l’incontro. Ed è contro questa attitudine che Raffaele K. Salinari articola il suo ultimo libro, Tuffarsi (Edizioni Punto Rosso-Carta, pp. 200, euro 19). Attivista da quando ha dismesso i pantaloni corti, Salinari è una firma conosciuta ai lettori de «Il manifesto». Direttore di Terre des hommes ha trascorso gran parte della sua vita adulta fuori dall’Italia, facendo il cooperante in giro per il mondo. Quando poi è tornato a «casa» ha cominciato a ripercorrere le sue esperienze, convinto che qualcosa era accaduto nel mondo e che la vecchia distinzione tra primo, secondo e terzo mondo non funzionava più. Ma neppure quella tra Nord e Sud del mondo riusciva più a spiegare le trasformazioni che avevano investito, nel corso del tempo, l’America Latina, l’Asia e l’Africa, continenti che Salinari ha non poco frequentato nella sua attività di cooperante. Ed è per questo motivo che negli anni passati ha dedicato una trilogia alla costituzione dell’Impero, una forma politica e economica che vede il capitalismo come modo di produzione «universale» e forme di resistenza che, seppure locali, non presentano per l’autore nessuna concessione a logiche identitarie.
Questo Tuffarsi può essere considerato una sorta di epilogo di quella trilogia, nel senso che è un testo che si concentra in una immagine, il tuffo in acqua, che indica sia un gesto di libertà, ma anche la scommessa di mettersi in gioco rispetto una situazione di cui si conosce poco o forse nulla. E di come tale immagine sia presente in tutte le culture del globo, da quella greca antica a quella occidentale contemporanea. A quelle asiatiche, latinoamericane, africane.
Rispetto al lavoro «ricostruttivo» che fa Salinari poco c’è da dire. È un viaggio erudito e affascinante quello che ci propone, durante il quale si incontrano testi antichi e moderni, paesi vicini e lontani, scoprendo appunto che il tuffo nell’acqua ha svolto un ruolo importante nel descrivere il rapporto tra il singolo e la realtà in cui ama, lavora, soffre. E di come il tuffo abbia sempre un doppio significato: aprirsi all’ignoto e al tempo stesso paura per ciò che è sconosciuto, «alieno».
Il tuffo è, infatti, anche una metafora della presa di parola, di quell’atto che prende le distanze dall’ordine costituito e si pone in un rapporto conflittuale con esso. Se non fosse irriverente, si potrebbe dire che l’atto del tuffarsi è una metafora di una militanza che si pone in una rapporto dialogico, alla pari con la realtà che vuole trasformare. Nessuna avanguardia che trascina gli altri, ma un «andare verso il popolo».
Non è dato sapere se Raffaele K. Salinari pensasse a ciò. Ma la ricezione di un libro non sempre coincide con quanto l’autore volesse dire. Ma per chi scrive è forte il richiamo proprio di quelle forme di resistenza che si sono manifestate contro la globalizzazione neoliberista in America Latina e India, dove il tuffarsi nella realtà è il primo gesto di defezione dalle norme che chi esercita il potere impone alla società e ai singoli, immaginati solo come spettatori passivi di un reality show globale che ha come protagonisti imprese transnazionali e élite politiche.
Il passo successivo, una volta entrati in acqua, è saper nuotare. Quello si apprende; oppure ci si può perdere. Ma questa è un’altra storia. L’importante è assaporare il forte sentimento di chi prende congedo dalle forme del dominio.
Questo Tuffarsi può essere considerato una sorta di epilogo di quella trilogia, nel senso che è un testo che si concentra in una immagine, il tuffo in acqua, che indica sia un gesto di libertà, ma anche la scommessa di mettersi in gioco rispetto una situazione di cui si conosce poco o forse nulla. E di come tale immagine sia presente in tutte le culture del globo, da quella greca antica a quella occidentale contemporanea. A quelle asiatiche, latinoamericane, africane.
Rispetto al lavoro «ricostruttivo» che fa Salinari poco c’è da dire. È un viaggio erudito e affascinante quello che ci propone, durante il quale si incontrano testi antichi e moderni, paesi vicini e lontani, scoprendo appunto che il tuffo nell’acqua ha svolto un ruolo importante nel descrivere il rapporto tra il singolo e la realtà in cui ama, lavora, soffre. E di come il tuffo abbia sempre un doppio significato: aprirsi all’ignoto e al tempo stesso paura per ciò che è sconosciuto, «alieno».
Il tuffo è, infatti, anche una metafora della presa di parola, di quell’atto che prende le distanze dall’ordine costituito e si pone in un rapporto conflittuale con esso. Se non fosse irriverente, si potrebbe dire che l’atto del tuffarsi è una metafora di una militanza che si pone in una rapporto dialogico, alla pari con la realtà che vuole trasformare. Nessuna avanguardia che trascina gli altri, ma un «andare verso il popolo».
Non è dato sapere se Raffaele K. Salinari pensasse a ciò. Ma la ricezione di un libro non sempre coincide con quanto l’autore volesse dire. Ma per chi scrive è forte il richiamo proprio di quelle forme di resistenza che si sono manifestate contro la globalizzazione neoliberista in America Latina e India, dove il tuffarsi nella realtà è il primo gesto di defezione dalle norme che chi esercita il potere impone alla società e ai singoli, immaginati solo come spettatori passivi di un reality show globale che ha come protagonisti imprese transnazionali e élite politiche.
Il passo successivo, una volta entrati in acqua, è saper nuotare. Quello si apprende; oppure ci si può perdere. Ma questa è un’altra storia. L’importante è assaporare il forte sentimento di chi prende congedo dalle forme del dominio.