Dice Jung nel suo saggio Presente e Futuro: “Noi viviamo nel kairos, una ‘metamorfosi degli dei’, ossia dei principi e dei simboli fondamentali. Questa esigenza del nostro tempo, che davvero non abbiamo scelto coscientemente, è l’espressione dell’uomo interiore ed inconscio che si trasforma. Di questo mutamento gravido di conseguenze, dovranno rendersi conto le future generazioni, sempre che l’umanità voglia salvarsi dall’autodistruzione che la minaccia per la potenza della sua tecnica e della sua scienza”. Queste riflessioni sulla tecnica e sulla scienza, oggi dovremmo certamente estenderle anche a quelle sull’economia, ed in particolare alla fase liberista che essa sta vivendo. La “trasformazione dei simboli fondamentali” infatti, riguarda in primis la loro degenerazione, il fatto che essi non siano più in grado di interpretare il senso universale del vivente e di inserirlo in una prospettiva coerente, ma solo di vetrificarlo in un presente eternamente consumogeno; in una parola stiamo loghizzandoci.
Il quadro che ho scelto illustra questa esigenza di ritorno ai simboli fondamentali, ed alla loro reinterpretazione, ponendo, nello specifico, il Consiglio di Amministrazione al culmine di un promontorio pericolante, che poggia su esili pilastri conficcati su case dimesse, ridotte in povertà, forse più spirituale che materiale. Il tavolo del Consiglio è a forma di croce cristiana, sulla quale la figura sofferente del Cristo, del giustiziere divino che aveva abbracciato, sino alla morte, la cause della giustizia, è fisicamente assente, cancellata dalla simbolica invertita di un segno che l’autore denuncia come a disposizione non più di quei valori ma solo di plus valenze. Come non accorgersi che questa inversione è al centro di tutto, che i simboli una volta del riscatto e della speranza nella giustizia, sono oggi utilizzati per promuovere il contrario? Ecco dove si intreccia il simbolico ed il materiale, l’economico e lo spirituale.
La povertà, la deprivazione, la mancanza di opportunità e risorse, sono oggi sostenute da una degenerazione simbolica che ha trasformato il Simbolo in Logo, il valore della Vita in biopolitica: nella plusvalenza che se ne può ricavare senza riguardo alcuno per la sua dignità. Ed infatti, la protervia degli esili pilastri-camini, che divengono anch’essi simboli loghizzati, invertiti, li fa penetrare come mazze dirompenti nei tetti di paglia, più che nascere da essi, disegnando così un disprezzo per il qualis, la quiddità che lega tra loro tutte le Vite non in una gerarchia fatta di Alto e Basso, potere ed impotenza, opportunità e deprivazioni, ma in un cerchio sempre mobile, l’unica forma che consente il fluire di ogni singola vita nella Vita. Ed ecco allora che la staticità apparente, seppur evidentemente traballante, dei pilastri di mattoni, lo sporgersi del promontorio sul nulla, testimoniano questa idea di gerarchia innaturale, pericolosa e pericolante, che è quella che oggi divide le vite e genera la morte, o forse dovremmo dire la mortificazione, dell’interno ecosistema. Non a caso i pilastri altro non sono che camini abnormemente trasformati in colonne, snaturati nella loro funzione naturale per divenire cariatidi mute di una croce dai colori cardinalizi, che lo è altrettanto. Sono camini soffocati e dunque a loro volta soffocanti, che non respirano più e non fanno respirare, come il sistema che li ha degenerati, che non liberano i miasmi ma invece avviluppano gli abitanti delle case, ridotti a respirare i fumi di una civilizzazione che si divide sempre più tra i Sopra-viventi, i fantasmatici membri del Consiglio di Amministrazione, ed i Re-esistenti, coloro i quali, ancora, forse, attivano testardamente l’unico camino rimasto, e ne lasciano fuoriuscire una nube bianca, un fumo senza scorie, trasformatore in equilibrio tra ciò che si crea e ciò che si distrugge. Un fumo che prende le fattezze indefinite di una nuvola, metafora delle metamorfosi che permettono alla vita di permanere. Crollerà, infine, sulle case il pericoloso promontorio del Consiglio di Amministrazione, o prima verrà innalzato il terzo camino per sostenerlo? Sarà sufficiente?
Per vedere il futuro basta leggere il passato, ed il quadro ci dice chiaramente, con i suoi colori cerei, smunti, slavati, terrei, che il Consiglio di Amministrazione, vuole solo un poco più di tempo per Sopra-vivere, che il destino comune non lo riguarda, che forse si appresta a stendere su quel tavolo a forma di croce il Corpo che attualmente dovrebbe esserci e, in phantasmata, c’è: quello dell’intera umanità. Ma gli abitanti della casa viva, quelli che ancora vivono sotto il promontorio, cosa faranno? Sono consapevoli che prima o poi anche a loro toccherà morire soffocati, in nome della “stabilità” dei mercati? E qui passa la differenza tra resistere e Re-esistere. Quel camino è un segnale di riscossa o consuma il tempo in attesa della disfatta? In quella casa ci abitiamo noi. La risposta è nelle nostre mani. Dice Swedemborg nelle sue descrizioni dell’inferno e del paradiso che le anime vengono sempre portate al cospetto delle presenze angeliche alla morte; saranno quelli che non sopportano la luce a scegliere liberamente l’oscurità infernale. Le sedie del Consiglio sono vuote ma non impersonali, noi conosciamo quei volti, la croce senza Cristo non perde per questo il suo significato di intersezione tra la trama della Vita universale e quella della nostre vite contingenti. Alla singola Bios della Zoè il quadro attribuisce ancora tutta la sua centralità nascosta, misteriosa, potente; quelle vita sono le nostre. Dobbiamo vedere l’Invisibile che il quadro ci mostra per cambiarne radicalmente le prospettive, finalmente Re-esistere.
Raffaele K. Salinari