Ho visto la statua dedicata a Giovanni Paolo II a Termini da un finestrino dell’autobus che mi portava in stazione. Non sapevo fosse un monumento dedicato alla sua recente beatificazione e così ho osservato il simulacro privo di qualunque riferimento che non fosse quello della mia visione estetica. La prima impressione è stata inequivoca: un essere gigantesco di un verde pastello omogeneo che invita con un sorriso inquietante ad entrare nella sua cavità corporea. Il riferimento immediato è stato al mantello della Morte che si apre sul cavaliere giocatore di scacchi nel Settimo sigillo di Bergman: ho visto sul viso della statua la stessa espressione che ha il destino quando ti invita a ciò che non puoi in alcun modo rifiutare. Ma, di fronte a questo monolite silente, non c’è dialogo possibile; la nostra abilità a scacchi non ci darebbe nessun tempo supplementare. Anche la conformazione di quel viso, senza collo, tutt’uno col corpo privo di membra, come ne fosse una protrusione temporanea e proteiforme, suggerisce l’idea di un enorme Blob pronto ad includerti al suo interno, per farti scomparire nel nulla della cavità. Si può supporre poi che esso riaprirà più e più volte il vasto vuoto affinché altri seguano la stessa sorte. Forse aspetta paziente Hansel e Gretel attirati dalla muta promessa di refrigerio ombroso. Perfino il colore invita a queste riflessioni necrofile: quel verde omogeneo, che non fa distinzione alcuna tra testa e corpo-mantello, è della stessa tonalità che si forma sui corpi che cominciano a decomporsi, molto usato, non a caso, nei numerosi film sugli zombies, per simulare la lenta trasformazione in esseri non morti e non vivi, in nosferatu, non spirati. Il bronzo color bronzo almeno, come il marmo color del marmo, non hanno nessuna pretesa di eternizzare il vivente, quanto di consegnarlo alla morte per l’eternità. Certo l’interno cavo sarà presto usato come vespasiano dai tanti senza fissa dimora che troveranno un luogo accogliente per liberarsi, dopo che la città capitolina ha progressivamente rimosso questi oggetti civili, ma sarebbe stato meglio che il Sindaco Alemanno avesse ripristinato l’istituzione igienica del famoso imperatore romano invece di inaugurarne uno solo, per di più senza acqua corrente. Ma forse è più probabile che il sito divenga un deposito di stracci vecchi, depositati nel suo accogliente antro, e dunque un pabulum maleodorante che mal si addice alla beatitudine del rappresentato. Ed ora, che succederà di questo Golem immobile di fronte a Termini? Non ci resta che sperare che, come nella leggenda del rabbino di Praga, un infante cancelli con le sue pure mani le lapidi commemorative, come fece il bambino della leggenda praghese rimuovendo dalla fronte del Golem le lettere che lo animavano, liberandoci così da questa bruttura nel cuore di Roma.
Raffaele K Salinari