Il garbato ma secco rifiuto di Romano Prodi alla candidatura di sindaco di Bologna è una occasione imperdibile per la sinistra

Il garbato ma secco rifiuto di Romano Prodi alla candidatura di sindaco di Bologna, è una occasione imperdibile per la sinistra bolognese. La candidatura del professore, infatti, avrebbe chiuso con un pesante coperchio di autorevolezza ed esperienza, quella pentola nella quel bolle, invece, la preoccupazione di tanti cittadini per una Cosa Pubblica oramai consegnata a logiche che sfuggono al governo della, seppur limitata, sovranità elettiva.

Prodi, con questo atto, ha realmente fatto ciò che molti gli chiedevano: un atto d’amore verso la sua città, favorendo, se la sinistra ed il PD saranno in grado di cogliere l’occasione, una dibattito approfondito sulle modalità ed i programmi che governeranno la città nei prossimi, speriamo, cinque anni. E allora, quali sono gli elementi di analisi che dovrebbero portare ad un ripensamento radicale delle logiche per la prossima coalizione alle comunali? In primis che le dimissione di Del Bono sono un atto che non può essere relegato a fatti personali e contingenti, in altre parole che non è pensabile che sic et simpliciter la coalizione ed il programma di governo della città restino immutate e che il solo problema sia quello di trovare un buon candidato sindaco che porti avanti il programma precedente.L’impostazione con la quale alcuni settori del PD, ma anche delle varie formazioni di sinistra, stanno conducendo la faccenda, rileva invece proprio di questa impostazione. In realtà, almeno la sinistra, dovrebbe porsi l’antico, ma sempre valido, problema del rapporto tra fatti privati e Cosa Pubblica; in questo caso le dimissioni del sindaco, ma più ancora la volontà di archiviarle velocemente sul piano politico, sono una spia di insensibilità ed automatismi legati ad una gestione ragionieristica dell’amministrazione cittadina, autoreferenziale, che mostra di non apprezzare a dovere quanto, il metterci una pietra sopra e “tirare innanzi”, possa condurre all’allontanamento ulteriore di settori popolari e di elettorato di sinistra. È stato in questo modo, tra faide interne e supposta autosufficienza, che fu consegnata la città alle destre. È, dunque, non tanto la vicenda giudiziaria, che è nelle mani di quel potere, quanto il percorso politico che l’ha condotta all’epilogo delle dimissioni, che deve essere considerata nelle sue implicazioni, almeno per quanto concerne le relazioni tra gli amministratori ed i cittadini che li esprimono. Da questo la necessità di ricreare un fronte ampio ed articolato, a più voci e sensibilità, di tutte le forze politiche, associazioni, movimenti, singoli cittadini, che vogliono tornare a contare nelle scelte amministrative di una città, un tempo, esempio di passione civile, ed oggi umiliata proprio dalla stessa incomprensione della sua indignazione da parte dei partiti già pronti a “ritoccarne” l’impianto degenerativo con qualche aggiustamento di facciata. Bologna oggi è res nullius, uno spazio metropolitana relativamente ristretto sul quale confluiscono, ogni giorno, quasi il triplo dei cittadini residenti, un’area medievale popolata da una massa di city users che, insieme all’Università con i suoi centomila studenti, impongono logiche di governo ben diverse da quelle di una città di provincia che ancora spende gli scampoli della sua reputazione storica. Dov’è finita, in questo contesto, la città di uomini e di donne, di bambini ed anziani, di nuovi cittadini e studenti, che rappresentava un modello di livello nazionale? Quel modello non c’è più perché, tra le altre cose, non è più il Comune che lo governa, ma poteri economici che, in maniera non tanto sotterranea, hanno zonizzato la città e preteso, anche ottenendole, zone franche, per il traffico, gli affari privati, e tutto ciò che oggi riduce Bologna ad un immenso non luogo senza simbolizzazione alcuna, cioè senza possibilità di creare legami tra chi, non solo la usa, ma la abita e la condivide. Da questa proposta di rilancio dello Spazio Pubblico cittadino, vera forza della buona politica senza le virgolette, nasce la necessità che tutte le sinistre, comuniste, ecologiste, femministe, sindacali, movimentiste, si mettano d’accordo per dare vita da subito ad una lista unitaria che possa far pesare, prima ancora dei nomi, una concezione partecipativa del programma ed una idea di città che restituisca Bologna ai suoi legittimi proprietari: tutti i bolognesi.

Apparso su Il Manifesto, 7/Feb/2010

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