Nel gorgo oscuro e mortale della Finanziaria è sparito, oltre al finanziamento alle testate cooperative come il manifesto, anche il sostegno italiano agli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. Del miliardo annuale, promesso ben dieci anni or sono e mai versato, né dai governi di destra né da quelli di sinistra, sono infatti previsti solo trecento milioni, un risibile 0,2% del PIL. Non è una storia nuova dunque, purtroppo l’abbiamo riscritta decine di volte negli ultimi anni, ma questa volta la notizia c’è e, come nel più puro spirito del giornalismo «hard» è una vera cattiva notizia: le spese per missioni militari di pace hanno più che doppiato quelle destinate all’intera cooperazione allo sviluppo. In soldoni, se i dati a disposizione saranno confermati, ai militari impegnati in Afganistan, il Libano ed in altre parti del mondo di minor visibilità ed impatto mediatico, andranno ben 750 milioni di euro, contro i circa 300 del «resto del mondo». Il significato biopolitico di questa decisione è ancora più evidente se si prendono in considerazioni i mancati pagamenti al Fondo Globale di lotta all’Aids, Tubercolosi e Malaria, che il Governo in carica durante il G8 di Genova lanciò accompagnandolo da un roboante “Piano Marshall per l’Africa”. Il Piano è rimasto totalmente disatteso e non è ricomparso più neppure nelle dichiarazioni di principio, che pure in questi anni hanno continuato ad aumentare la distanza italica tra i fatti e le promesse; ma neanche il sostegno al Fondo è mai decollato, basta pensare alla Campagna UNICEF a sostegno della lotta all’Aids nei bambini che si chiama, appunto, “Non toccate il Fondo”, e che vede il nostro Paese tra quelli largamente inadempienti. Per correttezza storica è bene ricordare che, per ben due legislature governate dal centro sinistra, fu proposta una riforma degli Aiuti Pubblici allo Sviluppo e che, entrambe le volte, la legislatura terminò con un nulla di fatto. Ora la nuova tendenza, abbracciata anche da una parte dell’opposizione «moderna ed al passo con i tempi», è ovviamente il partenariato pubblico privato che, in una condizioni culturale e politica come quella italiana, significa puramente e semplicemente la privatizzazione di un pezzo di politica estera. Certo l’opposizione ha presentato i suoi emendamenti in Finanziaria per far innalzare i fondi per lo sviluppo, quelli che quando governava si faceva fatica a trovare, ma resta la portata del sorpasso della cooperazione militare su quella civile. In questo campo abbiamo assistito ad una indubbia evoluzione, se così si può dire, e cioè ad una drastica diminuzione delle azioni congiunte, quelle che sino all’inasprimento dei combattimenti in Afganistan si chiamavano cooperazione civile-militare. Chi scrive ha l’onore di essere chiamato con una certa regolarità a parlare di questi argomenti, prevalentemente a militari di carriera spesso impegnati in operazioni di peace keeping che implicano una qualche forma di opere civili, tipo ricostruzione di ponti, pozzi o assistenza sanitaria alle popolazioni; bene, devo riconoscere, con grande franchezza, che le mie tesi sulla impossibilità, in zone di operazioni, di costruire una reale partnership tra civili, O.n.g. in questo caso, e militari impegnati, anche, in azioni di guerra guerreggiata, trova queste persone totalmente d’accordo. Di più, quando si evidenzia il semplice dato di fatto che in quelle condizioni comandano i militari ed i civili si limitano ad obbedire, viene fuori chiaramente tutta l’ambiguità delle regole d’ingaggio che vedono i militari «travestirsi» da operatori di pace, ed i civili «blindati» dai militari: in sostanza un mettersi in pericolo da entrambe le parti con un equipaggiamento non adeguato alle circostanze. Infatti, una Ong realmente indipendente che accettasse la «protezione» dei militari, come nel disgraziato caso della Croce Rossa italiana in Iraq, si metterebbe subito fuori dalle Convenzioni di Ginevra che vogliono la totale neutralità di ogni organizzazione umanitaria. E dunque il fatto che l’Italia si vanti, in sedi internazionali, di stanziare per la cooperazione internazionale cifre tutto sommato rispettabili, per le medie OCSE, mischiando civile e militare, ricostruzione e difesa dei Governi amici degli occidentali, soldi e soldati insomma, è una forma delle politica attuale che andrebbe rubricata per quello è: un’azione militare tout court che implica anche azioni in favore dei civili per tenerseli buoni, come dicono tutti i manuali di contro guerriglia, e dunque non può essere in nessun caso considerata cooperazione.
Apparso su Il Manifesto, 13/Dic/2009